Se si considera il patrimonio culturale fonte,
espressione e base della cultura viva della società e della comunità, esso può diventare l’elemento da cui comincia e continua il processo di
sviluppo: il patrimonio è un capitale da far fruttare usandolo /
modellandolo / interpretandolo a fini culturali (educativi), sociali (identità), economici ( non solo produttori di profitto ma per gli effetti di
ridistribuzione delle risorse). Il patrimonio culturale è innanzi tutto locale,
prima di essere nazionale o mondiale; il suo uso principale è riservato a chi lo detiene, ai proprietari in senso
giuridico, all’amministrazione pubblica in senso politico e alla comunità in
senso morale e culturale. La gestione dovrebbe quindi essere il frutto della
cooperazione di tutti gli attori presenti nel territorio (anche se spesso
conflittuali).
Si tratta
di un’applicazione particolare del concetto di sussidiarietà per cui
la gestione dovrebbe essere fatta il più vicino possibile ai creatori / detentori
del patrimonio per non separarlo dalla vita. Il ruolo delle istituzioni
specializzate è allora quello di
sensibilizzare, facilitare, educare, mettere in contatto, pubblicizzare, gestire
in funzione dell’interesse
generale.
La conservazione del patrimonio culturale non è un
obiettivo, ma un mezzo per porre alcuni beni al servizio di programmi o
attività a lungo termine, secondo scenari (per es. educativi) che esigono il
rispetto delle forme e il mantenimento/conservazione nel presente e nel lungo periodo.
Per servire allo sviluppo sostenibile (a lungo e a
lunghissimo periodo) il patrimonio culturale va considerato come un tutto nella
sua complessità e nell’interdipendenza dei suoi elementi; ciascun
componente del patrimonio non può
essere dissociato dagli altri e le trasformazioni cui esso è soggetto
riflettono l’evoluzione della
società, della cultura e del mondo circostante.
Questo equivale a dire che ogni processo di sviluppo a livello territoriale dovrebbe fondarsi sul patrimonio
culturale facendo di esso il garante della partecipazione della comunità e dei
suoi membri.
Se lo sviluppo locale si fonda sul patrimonio
culturale inteso come elemento di continuità e di stabilità, è possibile contenere o riequilibrare gli eventuali effetti dirompenti dei cambiamenti insiti nello sviluppo,
cioè il patrimonio culturale può
diventare l’elemento guida che
permette a singoli e alle comunità
di orientarsi tra mutazioni ed eventi generati
dalla dinamica dello sviluppo / cambiamento.
Per svolgere questo ruolo il patrimonio culturale deve
essere dinamico, esso stesso testimone del cambiamento; laddove
cambiamento non vuol significare necessariamente / esclusivamente alterazione fisica o
modificazione di luogo e di proprietà, ma piuttosto nuova interpretazione,
nuovo uso, per contribuire direttamente al processo di sviluppo. Il patrimonio
culturale risulta tanto più dinamico quanto più è fonte di iniziative e creatività da parte della comunità,
mostrando che esso può creare sviluppo a partire dalla propria ricchezza
materiale e culturale (nella misura in cui è creativo e utile il patrimonio
può essere trasmesso nel tempo).
Il patrimonio è anche una risorsa per lo sviluppo: è anzi la risorsa che,
con la popolazione si trova ovunque; è una risorsa al tempo stesso non
rinnovabile (nella stessa identica forma) e parallelamente trasformabile e
riproducibile, una risorsa che si rigenera e assume forme nuove, almeno quando si integra con una
dinamica di sviluppo, cioè di governo del cambiamento.
Nello specifico dei beni architettonici (e ambientali) appare acquisito che :
Nello specifico dei beni architettonici (e ambientali) appare acquisito che :
- il patrimonio da conservare è un sistema di manufatti eterogenei e
collegati fra loro che nell’ insieme formano l’ambiente di vita: si tratta di coltivazioni, strade, canali,
villaggi, città, edifici, manufatti selezionabili in base ad un grado di
significazione e di coerenza
complessiva tale da
consentirci di ricostruire i legami perduti o minacciati;
- questo sistema di manufatti è tanto più prezioso in
quanto è ancora vivificato da un rapporto quotidiano con le persone e le collettività di oggi.
Di qui il concetto di tutela attiva in cui scenario fisico e abitanti sono legati in modo
inseparabile fra loro; inoltre si tratta di agire non attraverso divieti e vincoli ma di suggerire i modi non solo per conservare ma per
utilizzare il bene assicurando la
protezione e l’integrità ma
soprattutto la effettiva vitalità. Non si tratta di proporre modelli ma di fornire indicazioni indirizzate a mantenere/ attivare/
riattivare la vitalità del bene.
Ma porre come prioritaria la vitalità del bene (sia esso paesaggio, monumento,
oggetto d’arte, ma anche raccolta documentaria, archivio, bene immateriale,
ecc.) comporta al tempo stesso un
approccio più selettivo alla sua tutela e invita ad assegnare al patrimonio culturale un ruolo
centrale nelle politiche pubbliche
come nell’iniziativa privata, ponendolo a fondamento stesso dello sviluppo
locale. In tale prospettiva la tutela e valorizzazione privilegiano soluzioni che meglio assicurino la vitalità del patrimonio oltre il presente ponendo particolare attenzione all’uso, condizione essenziale affinché alla prospettiva della musealizzazione
se ne affianchino altre e diverse. Ciò significa esaminare il valore del patrimonio culturale
rispetto ad una pluralità
di punti di vista, dove la prospettiva del turismo culturale o meno può
essere al massimo una delle variabili, ma non necessariamente la prima e la più importante perché altre-
interne alla comunità che in quel
territorio opera- assumono un rilievo anche maggiore soprattutto se la
prospettiva è quella di uno
sviluppo sostenibile e
durevole.
Partendo da tali presupposti si possono vedere sotto
una diversa luce le variegate condizioni dell’abitato storico di Pistoia;
infatti possono essere compresenti
più condizioni che vanno dall’abbandono all’ iperutilizzazione , dalla
conservazione filologica alle libere riedizioni di impianto ed
al sostanziale variare delle condizioni d’uso.
Ma
proprio una tale articolazione è da considerare elemento di “valore” adatto a
individuare specificità di area/ sito/ intorno ed a mettere a punto criteri diversificati di intervento
che mirano a valorizzare le
peculiarità dei luoghi ed anzi a tentare di ri-trovarne lo “spirito”.
Ne consegue il possibile superamento della formula
omnicomprensiva di centro storico a favore della identificazione di sistemi complessi da considerare caratterizzanti dei diversi ambiti urbani
(quartiere, parrocchia ...) e in quanto tali di suggerire azioni
diversificate di tutela/ valorizzazione.
Giuseppina Carla Romby
(Professore ordinario di Storia dell'architettura presso l'Università degli Studi di Firenze)