Rischio idraulico e gore
demaniali in San Bartolomeo
23 ottobre 2013
23 ottobre 2013
Un recente articolo sulla stampa
Recentemente la stampa («La
Nazione», domenica 6 ottobre 2013, Cronaca di Pistoia, pagina 6) ha dato
notizia sull’esito del “Controllo della
conformità delle indagini geologiche” da parte del Genio Civile, circa
l’esistenza di una falda d’acqua nell’area dell’antico orto di S. Bartolomeo,
interessato dal progetto di un parcheggio interrato. Quanto si vorrebbe dedurre
da tale documento è evidenziato dal titolo giornalistico: «La falda non c’è».
Secondo l’interpretazione data
dall’anonimo articolista, non vi sarebbe rischio causato da una falda
sotterranea, che era uno dei principali problemi da chiarire. Si insiste
nell’articolo sulle “numerose verifiche
tecniche compiute in loco, tra le quali 9 sondaggi a carotaggio, un nuovo pozzo
e altre indagini del sottosuolo e sismiche”.
L’utilizzo proposto dell’area,
come parcheggio interrato su tre livelli, come si ricorderà, era reso
problematico anche perché doveva essere accertata “la natura giuridica della gora sotterranea” che attraversa l’orto
di S. Bartolomeo.
L’estensore dell’articolo
informa, a questo proposito, che quest’ultima questione era già stata chiarita
nel maggio scorso, “quando è stato
ufficialmente appurato che il corso d’acqua che passa nell’area dove dovrebbe
essere realizzata la struttura da 350 parcheggi non è demaniale”.
Implicitamente, perciò,
dall’articolo parrebbe dedursi che ora nulla più osterebbe alla conclusione
dell’iter comunale, già avviato, relativo all’esame del “piano di recupero” di
quest’area, ma finora rimasto interrotto. Per questo motivo la società
Napoletana Parcheggi, interessata alla realizzazione della struttura, ha
ritenuto intanto di fare ricorso al TAR, perché sia data sollecitamente una
risposta ufficiale e definitiva in merito.
Si è delineata, nello stesso
tempo, una posizione prudenziale da parte dell’attuale Amministrazione
Comunale, che pare preferire una politica d’intervento coordinato per quanto
riguarda l’individuazione delle aree destinate a parcheggio nel centro storico,
data la presenza di disponibilità ulteriori nell’area del Ceppo ed ex-Pupilli.
In conclusione, l’unico
impedimento rimasto, come si evince implicitamente dall’articolo, parrebbe perciò l’attuale volontà dell’Amministrazione Comunale di non prendere decisioni
affrettate (e irreversibili) prima di avere soppesato attentamente tutti gli
elementi da considerare.
Tuttavia, nel citato intervento
sulla stampa non si manca di accennare che ulteriori problemi potrebbero
insorgere dalla “novità normativa,
dell’aprile scorso, sul rischio idraulico, che lo stesso Genio Civile cita a
conclusione del parere espresso sulla falda nell’area di San Bartolomeo”.
In base a questa norma, infatti, non sarebbe più possibile la realizzazione di
un parcheggio interrato nell’area prescelta: innalzandosi “proprio il livello del rischio alluvione in tutta la zona, la struttura
proposta dalla Napoletana Parcheggi non sarebbe oggi più realizzabile perché
interrata, al pari di altre opere simili”.
Precisazioni e osservazioni
dell’Associazione “Pistoia città di tutti”
In merito alla controversa
questione, che si trascina dal giugno 2011, l’Associazione di volontariato
culturale “Pistoia città di tutti” desidera puntualizzare quanto emerge dall’esame
dettagliato: a) della citata risposta del Genio Civile (del 1° ottobre 2013); e
b) anche da quanto si sa in merito alla consulenza fornita dall’arch. Gianluca
Iori circa la demanialità della gora che attraversa l’area in oggetto.
a)
Riguardo alla risposta del Genio
Civile, sede di Pistoia, del 1° ottobre 2013 (prot. AOOGRT/60/60), indirizzata
al Comune di Pistoia e in particolare al Responsabile del procedimento arch.
Eduardo Russo (PEC del 2 ottobre 2013, prot. 66269), avente in oggetto il “Controllo della conformità delle indagini
geologiche” compiute per il piano di recupero del comparto di San
Bartolomeo, si evince intanto il lunghissimo iter che è stato necessario per la
presentazione della documentazione richiesta ad integrazione delle “valutazioni” sugli effetti delle opere
in progetto con particolare riguardo alla “circolazione
delle acque sotterranee”.
Ancora in data 8-8-2013 veniva
richiesto da parte del Genio Civile di Pistoia ai “consulenti tecnici del
proponente e per conoscenza al responsabile del procedimento comunale” di
chiarire di nuovo “alcuni aspetti
relativi sia alla completezza e coerenza dei dati presentati sia alla
definizione degli aspetti previsionali e operativi dell’impatto dell’opera
sulla circolazione delle acque sotterranee”. Le integrazioni richieste (“«Nota integrativa alla relazione del giugno
2013» e le Appendici B e C in sostituzione di quelle già depositate, il tutto a
firma del Geol. Giorgio Matassi”, consegnate dalla Napoletana Parcheggi e
registrate con nota prot. n. 113 dell’11-9-2013), tuttavia, inducevano il Genio
Civile a sottolineare che “nell’area in
oggetto a fronte di numerose indagini effettuate a più riprese (9 sondaggi a
carotaggio continuo, 8 dei quali attrezzati a piezometro, un nuovo pozzo, 7 prove
penetrometriche, indagini sismiche in foro e di superficie) permane una sostanziale difficoltà nel
ricostruire un modello idrogeologico del tutto coerente con i dati acquisiti
che consenta di definire compiutamente la circolazione delle acque sotterranee,
probabilmente anche per la naturale complessità del sottosuolo indagato”.
Nello stesso documento, il
medesimo Genio Civile riferiva che “nei rapporti presentati viene testimoniata
l’assenza di una vera e propria falda produttiva alle profondità di interesse
associata alla bassa permeabilità dei sedimenti”, tuttavia erano stati “riscontrati livelli piezometrici (corpi
idrici freatici, semiconfinati e confinati), a profondità comprese fra 1 e 4
metri dal piano di campagna”. Il Genio Civile prendeva inoltre atto che “i consulenti del proponente”, essendo
risultate a seguito delle indagini “basse
permeabilità dei sedimenti e gradienti piezometrici bassi e di incerta
definizione”, avevano deciso perciò “di
non effettuare la simulazione finalizzata alla previsione degli effetti del
manufatto sulla circolazione idrica sotterranea affermando nei loro rapporti
che in tali condizioni «la
modellazione non può fornire dati attendibili» e che «gli effetti che il
manufatto potrà provocare dal punto di vista idrologeologico-idraulico sui
terreni di sottosuolo non potranno essere significativi»”.
Tuttavia, dalla citata “Nota integrativa alla relazione del giugno
2013”, risultava che peraltro erano stati presi in considerazione “due possibili scenari che potrebbero verificarsi
in relazione al requisito di ‘trasparenza idraulica’ del manufatto in oggetto,
individuando alcune possibili azioni d’intervento per mitigare gli effetti
qualora si rendesse necessario”.
Inoltre lo stesso Genio Civile di
Pistoia non mancava di notare che i piezometri Pz8 e Pz9, “realizzati appositamente per il monitoraggio di corpi idrici
sotterranei durante e dopo i lavori” mostravano rilevazioni sensibilmente
diverse fra loro e, per quanto riguarda il Pz8, anche sensibilmente diverse
dagli altri piezometri. In base a ciò il Genio Civile prescriveva “di verificare sul campo l’attendibilità
delle letture con un monitoraggio prolungato di tali piezometri ante operam
(preferibilmente in continuo)”, con
l’integrazione di “almeno un piezometro
finestrato sui corpi idrici più superficiali […] posto sul lato nord del manufatto interrato”.
Inoltre il Genio Civile di
Pistoia “tenuto conto del livello
preliminare della progettazione in oggetto”, prescriveva ancora che nella “successiva fase di progettazione” fosse
attuato “il superamento delle incertezze
presenti nel modello idrogeologico” e fosse definita operativamente la
serie “delle azioni progettuali
necessarie al superamento di eventuali criticità in funzione dei vari scenari
possibili di impatto del manufatto sulla circolazione idrica sotterranea
(trasparenza idraulica)”.
Nel riconoscere che, in base a
quanto richiesto, la documentazione depositata era corredata di “indagini geologiche […] eseguite in conformità alle direttive
tecniche del Regolamento 53/R”, si dichiarava che essa veniva archiviata
con “esito positivo ai sensi dell’art. 9
c.1 del Regolamento 53/R”: ovvero si attestava che a questo punto
l’istruttoria era finita.
Il documento del Genio Civile,
comunque, non mancava di segnalare, a conclusione, che “le modifiche alla perimetrazione delle aree a pericolosità idraulica
della cartografia del PAI” approvate
l’11-4-13, assegnano “l’area in oggetto”
alla categoria di “zona allagabile per
eventi con tempi di ritorno di 200 anni (P.I.2)”: che non consente la
realizzazione di “locali interrati […] in aree allagabili per tempi di ritorno
minori od uguali a 200 anni”.
In conclusione, dal documento sopra citato del Genio Civile risulta
che:
1)
dopo tutte le prove e le indagini richieste, per il
Genio Civile permangono ancora incertezze sull’accertamento della situazione
delle acque di falda nell’area interessata (la cui esistenza non è in alcun
modo messa in dubbio) e che tale situazione, ancora non chiaramente accertata,
resta da definire almeno a livello di progetto operativo;
2)
in base alle attuali modifiche della cartografia PAI
sulle aree a pericolosità idraulica, essendo l’area in oggetto classificata
come P.I.2, non è consentito realizzarvi locali interrati.
Quindi: nell’articolo sopra
citato («La Nazione», 6 ottobre 2013), non ci pare assolutamente che la
conclusione sia quella formulata dall’anonimo estensore, cioè che nell’area di
San Bartolomeo dal documento del Genio Civile sia provato che “la falda non c’è”. E neppure che,
conclusosi l’iter della documentazione integrativa richiesta, la Napoletana
Parcheggi sia attualmente in grado di conoscere appieno, in vista della
redazione di un eventuale progetto definitivo e del conseguente avvio dei
lavori (qualora approvati), la reale situazione della circolazione della falda
sotterranea esistente nell’area.
Ci sembra che rifletta la stessa
posizione del citato articolo de «La Nazione» (6 ottobre 2013), un intervento
anonimo dal titolo “Parcheggi a Pistoia:
San Bartolomeo e area Pupilli a confronto” reso noto il 19 ottobre 2013 sul
blog «Quarrata/news» (http://quarratanews.blogspot.it/2013/10/
parcheggi-pistoia-san-bartolomeo-e-area.html). Dove si tende a
dimostrare la situazione maggiormente favorevole dell’area di San Bartolomeo
rispetto all’area ex-Pupilli, come sedi di parcheggio, nella previsione
urbanistica e nello stato dell’istruttoria, nonché per la fattibilità. Per
quanto riguarda il rischio idraulico, correttamente indicato come maggiore per
l’area ex-Pupilli, non si indica tuttavia, come sarebbe stato auspicabile per
la trasparenza delle informazioni, che per l’area di San Bartolomeo non è
ugualmente consentita la realizzazione di “locali
interrati”. A questo proposito forniamo in allegato le due tavole
dell’attuale cartografia PAI vigente circa il rischio idraulico della zona in
oggetto (Allegati 1 e 2).
b)
La consulenza fornita dall’arch.
Gianluca Iori sulla demanialità della gora che attraversa l’area in oggetto,
risulta per il momento un documento non ufficialmente disponibile. Tale
relazione tecnica è stata acquisita in sede di istruttoria legale dall’avvocato
del Comune di Pistoia Vito Papa il 10 maggio 2013, come perizia redatta su
richiesta della Parrocchia di San Bartolomeo, rappresentata dal parroco don
Luca Carlesi, e perciò evidentemente in solido con la Napoletana Parcheggi.
A quanto è possibile dedurre
dalle informazioni comunque acquisite, la perizia formulata dall’arch. Gianluca
Iori farebbe riferimento ad una relazione storica presentata in allegato, e
corredata da riproduzioni di opportune planimetrie ottocentesche.
Proprio tale relazione avrebbe
fatto da supporto al netto cambiamento di parere espresso dall’Agenzia del
Demanio circa l’appartenenza al Demanio stesso della gora interrata che
attraversa la proprietà della Parrocchia di San Bartolomeo oggetto del piano di
recupero.
Pur non disponendo della
relazione storica e della relativa cartografia cui si allude nella Perizia
Iori, siamo propensi a ritenere che il contenuto di questa relazione si
riferisca per sommi capi a quanto è stato già edito dall’autore in due
successivi volumi: I sotterranei di
Pistoia, Firenze, Genoma Edizioni, 1999; Le gore di Pistoia. Un patrimonio da salvare. Studio sul sistema delle
acque dette gore e relative strutture complementari dal secolo IX ad oggi, Pistoia,
Settegiorni Editore, 2008.
Facendo riferimento a quanto è
stato pubblicato nelle due opere, si può individuare, per l’area interessata,
il sistema dei percorsi confluenti di tre diverse gore pistoiesi: la “Gora
dell’Ombroncello”, detta in età moderna “Gora di Gora”; la “Gora di Scornio”,
corrispondente ad
una regolamentazione e
canalizzazione medioevale e post-medioevale del torrente Brana; la “Gora di
Candeglia”, in gran parte insistente sull’antico corso del Diecine, anch’esso
regolamentato e deviato più volte, a partire dall’età romana.
Quanto si evince dall’analisi di
questi antichi corsi porta a concludere che i torrenti originali sono stati più
volte deviati e canalizzati dalle pubbliche autorità al servizio della comunità
pistoiese fin dall’Alto Medioevo. La terminologia costantemente adottata nei
documenti e nella cartografia fino a tutto l’Ottocento indica - quando si
trattava appunto di canalizzazioni e nuovi alvei artificiali, sia allo scoperto
che coperti da strutture a volta e quindi interrate - tali manufatti col
termine di “Gore”.
Le “Gore” erano sempre
pubbliche e l’erogazione dell’acqua ad enti o privati che ne facevano richiesta
era stabilita mediante leggi e regolamenti precisi. Dalla “Gora” pubblica le
adduzioni di acque, per usi privati, venivano effettuate mediante aperture
regolabili, chiamate “Calle”, la cui manutenzione e cura era affidata
sia al Magistrato delle Acque che ai privati che ne usufruivano. Da qui si
diramavano all’interno delle proprietà private condotti o canalette di
esclusiva pertinenza dei privati.
Il sistema delle gore pubbliche a
Pistoia risulta “demaniale” durante il sec. XIX: rapportandosi in un primo
tempo ancora al Granducato di Toscana, dopo la Restaurazione napoleonica; in un
secondo tempo allo Stato italiano, nel periodo immediatamente posteriore
all’Unità d’Italia. È questo il secolo in cui il reticolo completo delle gore
cittadine è accuratamente documentato mediante precise mappe, per evitare abusi
e illecite appropriazioni ed avere un quadro esatto dei diritti pubblici sulla
riscossione dei canoni e della complessiva regolamentazione della rete idrica
cittadina.
Affronta la questione della
“demanialità” lo stesso arch. Gianluca Iori (Le gore di Pistoia, pp. 117-143), sottolineando che: “Con l’Ottocento
si chiude definitivamente la vertenza secolare sulla proprietà delle gore e
sulle competenze amministrative mettendo definitivamente fine all’argomento e
classando le gore come Bene Demaniale; tanto che nella documentazione
successiva al Decreto sopra enunciato [Delibera del Consiglio di Prefettura del
16 giugno 1810] le gore vengono sempre citate e denominate con la dizione
«pubbliche»” (Le gore di Pistoia, p.
118). Il 20 marzo 1865 fu formulata la legge sulle opere pubbliche; le
competenze delle gore furono trasferite ai Consorzi per le opere idrauliche nel
1937; quelle pistoiesi confluirono in un unico Consorzio idraulico di III
categoria del torrente Ombrone Pistoiese ed affluenti (ivi, pp. 69 e 118).
Non facile dovette essere la
gestione delle gore pubbliche locali nel passaggio di competenze dallo Stato
toscano allo Stato centrale, anche per la sedimentazione nel tempo dei diritti
d’uso acquisiti, che talvolta degeneravano in abusi. Questi erano all’origine
di reclami da parte degli interessati, specialmente in caso di minore afflusso
idrico generale, quando alcune zone della città rimanevano prive d’acqua o non
sufficientemente servite. Veniva meno, così, il diritto di godere stabilmente
della fornitura idrica prevista (chiamato “privilegio”). Tali diritti erano
comunque documentati e rispettati durante tutto il secolo XIX.
Sullo stato delle gore
nell’Ottocento è fondamentale la relazione dell’ingegnere idraulico Francesco
Guasti redatta nel 1835 su incarico del Magistrato civico e corredata da importanti
planimetrie. Tale materiale, fortunatamente recuperato dall’estensore della
presente informativa, è attualmente depositato nella Biblioteca Forteguerriana
dal 1999. La Relazione Guasti è integralmente edita dall’arch. Gianluca Iori
nel citato volume Le gore di Pistoia,
pp. 119-143, con alcune delle più importanti tavole.
Due di queste tavole, che
illustrano il percorso della “Gora di Gora” (Ombroncello) e della “Gora di
Scornio” relativamente alla zona dell’orto di San Bartolomeo, sono state ivi pubblicate
(alle pp. 124-125, fig. 78; pp. 138-139, fig. 82): cfr. gli Allegati 3 e 4 del
presente contributo.
A quanto ci risulta, la seconda
di esse, cioè la figura 82 (Allegato 4), che rappresenta la situazione a monte
rispetto al complesso di San Bartolomeo, è stata utilizzata nella già citata
Perizia Iori circa la demanialità o meno della gora che attraversa l’area
dell’orto di San Bartolomeo. L’arch. Iori vi indicava come “calla di derivazione dell’acqua dalla Gora
di Scornio” quello che invece risulta dalla stessa cartografia storica come
un tratto della medesima “Gora di Scornio”
(si veda la figura 78 sopra citata e anche la tavola d’insieme redatta da
Giuseppe Martelli, cfr. Allegato 5 e 5 bis al presente contributo). In queste
tavole si distinguono con esattezza i tracciati della “Gora di Gora” e della “Gora
di Scornio” che attraversano l’orto di San Bartolomeo, rispettivamente da
ovest e da nord, riunendosi all’altezza del “Mulino grande di San Bartolomeo”,
attestato su via del Bottaccio; da qui la Gora assume il nome di “Gora di Gora e Scornio”, la quale,
attraversata via dei Baroni, si congiunge più ad est con la “Gora di Candeglia” formando un’unica
Gora con le tre “Gore riunite”.
Quest’ultima attraversa il viale Arcadia per poi gettarsi nell’attuale corso
della Brana.
Trattandosi di un reticolo
organicamente interconnesso di “Gore”, cioè di condotti d’acqua sottoposti
all’autorità pubblica, di cui due tratti attraversano l’orto di San Bartolomeo,
non è possibile pertanto che questi medesimi tratti non ne facessero parte ma
divenissero nell’area, per quei soli segmenti, delle “Calle” e dei
canali privati di proprietà di San Bartolomeo. La qualità di documento
ufficiale di queste tavole, firmate dal celebre architetto e ingegnere
granducale Giuseppe Martelli (1792-1876), non consente di dare adito ad
equivoci circa l’esattezza della terminologia usata per indicare l’intero
reticolo dei condotti e canalizzazioni delle acque pubbliche. Peraltro
considerando la stessa configurazione del sistema complessivo di queste gore,
non si capisce come il tratto dell’acquedotto pubblico a monte dell’area di San
Bartolomeo sarebbe ancora la “Gora di Scornio”; attraversando l’orto monastico
di San Bartolomeo si trasformerebbe in una “Calla” privata di adduzione d’acqua,
per poi tornare ad essere “Gora di Scornio” una volta uscito dall’area.
A quanto ci risulta, nella
Perizia Iori si fa un uso inconsueto della terminologia, per quanto riguarda
questo tratto della “Gora di Scornio”: in tal modo si tenderebbe a dimostrare -
molto opportunamente - che la gora sia stata “privata” e di proprietà
dei monaci di San Bartolomeo, fin dall’età longobarda. Nella stessa Perizia
Iori, infatti, è usato il termine di “gore private” (coniato
dall’autore) come equivalente di “Calle” e condotti di adduzione d’acqua da
parte di privati. Invece, a quanto ci risulta, in tutta la documentazione
esistente reperibile nei vari archivi, non è mai usato il termine di “gore
private”, che non ha senso, in quanto è una contraddizione in termini.
Infine nella Perizia Iori si
equivoca sull’interpretazione di una parte del testo della Relazione Guasti del
1835, che viene addotto a dimostrazione dell’esistenza di una “gora privata”
dei Regolari di San Bartolomeo, mentre invece la materia del contendere, cui si
allude nel brano riportato, riguarda la privazione dell’esercizio dei diritti
di uso dell’acqua pubblica, che costituiva allora un “privilegio” per gli orti
di San Bartolomeo. E che allora derivava, come da noi già osservato, da
scompensi nella regolamentazione generale dei flussi d’acqua nell’acquedotto,
dovuti ad abusi, che andavano individuati e sanati. Il testo controverso è
peraltro riprodotto in forma integrale nel citato volume Le gore di Pistoia, p. 120.
In definitiva, a quanto
conosciamo - ma si potrebbe ancora approfondire la questione, qualora fosse
necessario - la Perizia Iori non risulta in alcun modo dirimente per quanto
riguarda la questione della demanialità del tratto della “Gora di Scornio” che
passava per l’orto di San Bartolomeo: data l’insussistenza delle motivazioni
addotte che riposano su un abile travisamento di quanto risulta dai documenti e
dalla cartografia storica allo scopo di ‘dimostrare’ che si tratti invece di
una canalizzazione privata.
La Gora di Scornio nel sottosuolo
dell’area di San Bartolomeo: una prova diretta
Vogliamo concludere, in merito
alla vicenda, segnalando le risultanze dirette di un’indagine nel sottosuolo
dell’area interessata, che hanno permesso l’individuazione di un tratto del
percorso sotterraneo della “Gora di Scornio” esistente alla profondità di circa
3,5-4 metri, e precisamente localizzabile verso la metà del tratto di questa
gora entro l’attuale proprietà di San Bartolomeo. Si accede mediante una botola
al condotto, sormontato da una copertura a volta di non recente fattura, e
perimetrato da mura in mattoni poggianti su più antiche sponde a grosse pillole
di fiume tenute insieme rozzamente da malta, probabilmente relative all’imposta
di un canale a cielo aperto; ancor oggi è apprezzabile la portata d’acqua
corrente, che risulta tuttavia inquinata da scarichi fognari.
Di questo manufatto è disponibile
una documentazione fotografica e filmata (http://quarratanews.blogspot.it/2013/09/ed-ecco-il-canalone-di-san-bartolomeo.html;
http://quarratanews.blogspot.it/2013/06/le-rane-di-san-bartolomeo.html) e la
precisa localizzazione, cfr. Allegato 6 al presente contributo.
Di questa
realtà sotterranea, a quanto ci risulta, non esiste traccia nei documenti di
progetto, resi noti durante le diverse informative delle Conferenze dei Servizi
e neppure in seguito.
Pistoia, 23 ottobre 2013
Lucia
Gai
Coordinatrice
dell’Associazione “Pistoia Città di tutti”
Allegati:
1. Carta della vulnerabilità
idraulica della falda (zona est di Pistoia)
2. Piano di bacino (zona est di
Pistoia)
3. G. Martelli, Andamento della Gora di Gora in città e
diramazioni per le Servitù dell’Acqua (part.). Allegato alla Relazione
Guasti del 1835 (Pistoia, Biblioteca Comunale Forteguerriana)
4. Gora di Scornio. Foglio 3°, redazione planimetrica del settore
urbano con il tracciato delle gore. Allegato alla Relazione Guasti del 1835
(Pistoia, Biblioteca Comunale Forteguerriana)
5. G. Martelli, Andamento della Gora di Scornio in città e
diramazioni per le Servitù dell’Acqua. Allegato alla Relazione Guasti del
1835 (Pistoia, Biblioteca Comunale Forteguerriana)
5 bis. Idem, particolare.
6. Localizzazione dell’accesso al
tratto sotterraneo della Gora di Scornio nell’orto di San Bartolomeo
1. Carta della vulnerabilità idraulica della falda (zona est di Pistoia) |
2. Piano di bacino (zona est di Pistoia) |
3. G. Martelli, Andamento della Gora di Gora in città e diramazioni per le Servitù dell’Acqua (part.). Allegato alla Relazione Guasti del 1835 (Pistoia, Biblioteca Comunale Forteguerriana) |
4. Gora di Scornio. Foglio 3°, redazione planimetrica del settore urbano con il tracciato delle gore. Allegato alla Relazione Guasti del 1835 (Pistoia, Biblioteca Comunale Forteguerriana) |
5. G. Martelli, Andamento della Gora di Scornio in città e diramazioni per le Servitù dell’Acqua. Allegato alla Relazione Guasti del 1835 (Pistoia, Biblioteca Comunale Forteguerriana) |
6. Localizzazione dell’accesso al
tratto sotterraneo della Gora di Scornio nell’orto di San Bartolomeo
|
Intervento
destinato alla rubrica de La Nazione “La tua opinione su”:
Il futuro
di Pistoia. Il parcheggio a San Bartolomeo (Testo integrale)
21 luglio 2011
21 luglio 2011
Parcheggi a oltranza
Sul progetto di realizzazione di un nuovo parcheggio, a tre piani
interrato, nella vasta area a sud dell’antico complesso monastico benedettino
di S. Bartolomeo, l’Associazione “Pistoia città di tutti”, allo stato attuale
delle informazioni di cui dispone, esprime un giudizio critico. Si osserva che
poco opportunamente, fra l’altro, sia stato scelto proprio il periodo delle
vacanze estive, quello di maggiore assenza di molti pistoiesi, per rendere noto
il progetto, ancora in via di definizione.
Intanto condividiamo le preoccupazioni dei residenti di S. Marco, per
quanto riguarda i problemi che in futuro si possono verificare per
l’inquinamento ambientale e per l’intensificazione del traffico; peraltro senza
usufruire di vantaggi in termini di disponibilità di un congruo numero di posti
auto di uso gratuito.
La nostra Associazione ritiene opportuno, quando sarà il momento della
definizione progettuale, che fosse indetto, da parte degli enti interessati, un
incontro pubblico, dove in modo trasparente siano illustrati i dettagli tecnici
e operativi del progetto e sia data voce anche ai cittadini.
Dal punto di vista storico, è noto che l’area su cui insiste l’antico
complesso conventuale di S. Bartolomeo ha avuto durante i secoli ben definite
caratteristiche come bacino di raccolta di acque torrentizie reflue, tanto che
la chiesa di S. Bartolomeo era stata chiamata “in pantano”. Lo stesso edificio
romanico, di fondazione longobarda, ha avuto notevoli problemi statici proprio
per il cedimento del terreno. Fa parte dell’antica storia pistoiese l’apporto
della comunità benedettina stanziata nel luogo fin dall’Alto Medioevo, anche
come fiorente azienda agricola e produttiva, in terreni difficili e da
bonificare, condizionando tutta la struttura urbana ad est della cerchia
muraria della città.
L’operazione di impianto del nuovo parcheggio interrato verrà a
condizionare l’assetto di un sottosuolo di cui dovrà essere accertata, con
indagini di carattere scientifico, la situazione idrogeologica e archeologica,
ma soprattutto produrrà una cementificazione di fatto dell’intera area
disponibile fino ad ora rimasta intatta come spazio a verde e, in un passato
non troppo lontano, frequentata anche dai residenti del quartiere e dai giovani
per usi ricreativi e sportivi. Né potrà ovviare a questo deficit il prospettato
allestimento di un giardinetto attrezzato in superficie, in corrispondenza
della struttura sotterranea.
Un’ulteriore criticità sarà costituita dalla necessità di allestire
convenientemente gli accessi e le uscite dall’area di parcheggio, incidendo
sulle preesistenze delle strette vie e degli immobili nella zona per collegarsi
con la viabilità extraurbana.
Nell’attuale panorama dei servizi e dei trasporti pubblici locali si
contano numerosi parcheggi di piccola-media capienza entro lo stesso centro
storico; ma per questo nuovo parcheggio pare prospettarsi una vera e propria
operazione infrastrutturale che accompagna e rende evidenti le linee-guida di
una visione utilitaristico-speculativa applicata all’antico centro storico,
dove la componente sociale tradizionale (l’unica a poter garantire un’autentica
vita di relazione umana) verrà sempre più allontanata e sostituita da un utenza
indifferenziata che vi soggiorna oppure opera in virtù di una trasformazione
spregiudicata e di una parcellizzazione del tessuto architettonico originario.
Si tratta, a nostro avviso, della filosofia urbanistica che ha improntato
il piano Cervellati, in cui sostanzialmente si prevede che nuove destinazioni
d’uso e consistenti trasformazioni restino sostanzialmente celate all’interno
dei volumi esistenti oppure, come nel caso dei parcheggi, nel sottosuolo, con
il successivo restyling arboreo di
superficie. Ci pare questa un’immagine ‘di facciata’ di una città
sostanzialmente deprivata del suo nerbo vitale e della sua identità storica,
che mostra i suoi drammatici limiti soprattutto quando la si depaupera dei suoi
‘polmoni verdi’ e della possibilità di fruirne liberamente da parte di tutti.
Pistoia dunque dovrebbe combattere con una voglia di parcheggi ad oltranza
specialmente quando per la loro localizzazione si progetti l’utilizzo di ancora
pregevoli spazi ortivi o giardini storici: come l’orto di S. Domenico, o il
giardino vescovile, per poi passare (in direzione baricentrica) al prospettato
parcheggio di piazza Garibaldi e finalmente a quello in piazza S. Lorenzo,
affidato ad un project financing
finora non andato a buon fine.
Sarebbe auspicabile, anche per questo problema, una definizione organica e
complessiva delle scelte da compiere, considerando con particolare attenzione
l’opportunità oggi offerta da un eventuale potenziamento, al servizio della
città, dell’ampio parcheggio dell’ospedale del Ceppo (destinato alla
dismissione), senza che i programmatori si lascino attirare da presunte difficoltà
di attuazione, anche economiche, che all’occorrenza, in altri casi, sono state
superate.
Pistoia, 21 luglio 2011
Pistoia, 21 luglio 2011
Lucia Gai
Coordinatrice dell’Associazione “Pistoia città di
tutti”
Intervento destinato alla rubrica de
La Nazione “La tua opinione su”:
Il futuro di Pistoia. Il parcheggio
a San Bartolomeo (Estratto per
la pubblicazione)
Sul progetto di realizzazione di un nuovo parcheggio, a tre piani
interrato, nella vasta area a sud dell’antico complesso monastico benedettino
di S. Bartolomeo, l’Associazione “Pistoia città di tutti”, allo stato attuale
delle informazioni di cui dispone, esprime un giudizio critico.
Intanto condividiamo le preoccupazioni dei residenti di S. Marco, per
quanto riguarda i problemi che in futuro si possono verificare per
l’inquinamento ambientale e per l’intensificazione del traffico; peraltro senza
usufruire di vantaggi in termini di disponibilità di un congruo numero di posti
auto di uso gratuito.
La nostra Associazione ritiene opportuno un incontro pubblico, dove in modo
trasparente siano illustrati i dettagli tecnici e operativi del progetto e sia
data voce anche ai cittadini.
L’operazione di impianto del nuovo parcheggio interrato verrà a condizionare
l’assetto di un sottosuolo di cui dovrà essere accertata, con indagini di
carattere scientifico, la situazione idrogeologica e archeologica, ma
soprattutto produrrà una cementificazione di fatto dell’intera area
disponibile, in un passato non troppo lontano frequentata per usi ricreativi e
sportivi. Né potrà ovviare a questo deficit il prospettato allestimento di un
giardinetto attrezzato in superficie, in corrispondenza della struttura
sotterranea.
Un’ulteriore criticità sarà costituita dalla necessità di allestire
convenientemente gli accessi e le uscite dall’area di parcheggio, incidendo
sulle preesistenze delle strette vie e degli immobili nella zona per collegarsi
con la viabilità extraurbana.
Lucia Gai
Coordinatrice dell’Associazione “Pistoia città di tutti”
(Intervento pubblicato da La
Nazione: Pistoia, 09 agosto 2011)
Dibattito
sul patrimonio monumentale della città
2011
2011
L’attività della nostra
Associazione, che ha dato inizio ad una collana dedicata a Il patrimonio monumentale della città, fra restauro riuso e abbandono ha
suscitato discussioni ed interventi negli ultimi due anni.
Il primo intervento, dedicato a Il caso della SS. Annunziata, è stato
ritenuto tema di notevole interesse dalla direzione della rivista “storialocale”,
che nel numero 15 del 2010 ha pubblicato sull’argomento un dossier (pagg.
52-101). E’ seguito l’incontro di studio sull’argomento, organizzato il 21
maggio 2010, conclusosi con un pubblico dibattito.
Il 3 ottobre 2010 è stato
organizzato il secondo incontro, dal titolo Fuori
e dentro San Lorenzo, conclusosi anch’esso con un ampio dibattito pubblico
e con un’apprezzata visita al complesso monumentale, rimasto inaccessibile per
molti decenni. L’imprevisto notevole afflusso della cittadinanza ha colpito l’opinione
pubblica, tanto che sulla rivista “storia locale” 16 del 2010 Giuliano
Beneforti ha edito un contributo dal titolo Il
patrimonio artistico pistoiese. Appunti per un programma nella rubrica
Segnalazioni Da San Lorenzo alla città
(pagg. 99-103). L’analisi di Giuliano Beneforti, che si ampliava da questo
evento particolare al tema più generale del ruolo del patrimonio monumentale
come uno degli elementi qualificanti della configurazione urbana, arrivava a
proporre una visione dei comportamenti culturali circa la tutela e la
valorizzazione del patrimonio monumentale come fortemente condizionati dal
fattore economicistico e speculativo. Se ne deduceva implicitamente che lo
stesso ruolo di sensibilizzazione svolto dalla nostra Associazione, come da
altre simili, fosse in realtà ininfluente perché privo dei mezzi economici
necessari a rendere attuabile la tutela stessa. Il successivo intervento, che
qui si riporta, è la risposta a quello sopra indicato di Giuliano Beneforti.
Lucia Gai, Patrimonio monumentale e dintorni
(Pubblicato in: “storialocale”, 17,
2011, pagg.138-144)
Desidero intervenire, in qualità di
coordinatrice dell’Associazione di volontariato culturale "Pistoia città
di tutti", nel dibattito avviato sulle pagine di questa rivista (“storialocale",
16, 2010) sul tema: Da San Lorenzo alla
Città con il contributo di Giuliano Beneforti su Il patrimonio artistico pistoiese. Appunti per un programma (pp.
99-103), sollecitato dalle iniziative ultimamente organizzate dall'Associazione
che rappresento, in collaborazione con le altre due Associazioni, nate con
scopi analoghi, degli "Amici dei Musei e dei Monumenti di Pistoia" e
"Storia e Città".
Se mai rilevando le imprecisioni
nelle notizie fornite al riguardo nell’editoriale introduttivo (p. 98): il
compilatore di esso, infatti, nel riferire il programma della seconda Giornata
organizzata dalle tre Associazioni sopra indicate, dedicata allo studio, alle
informazioni circa l’attuale situazione del complesso monumentale di San
Lorenzo ed al dibattito aperto alla cittadinanza su di un bene fino ad ora
rimasto indisponibile, si è riferito a quanto era previsto nel calendario
dell'incontro, ma non all’effettivo svolgersi dei lavori: da cui per altri,
indifferibili impegni mancavano il dott. Mauro Del Corso, presidente nazionale
della Federazione Italiana degli Amici dei Musei (FIDAM), il docente
universitario prof. Leonardo Rombai e l’architetto della Soprintendenza Giorgio
Pappagallo.
Ma è anche opportuno e giusto
ricordare, a fronte di questo ‘peccato veniale’, che la rivista ha avuto il
merito di recepire per prima le istanze che muovevano gli organizzatori del
primo incontro, anch'esso dedicato a Il
patrimonio monumentale della città fra restauro, riuso e abbandono e a Il caso della Santissima Annunziata,
tenutosi il 21 maggio 2010, del quale faceva parte integrante il dossier pubblicato sullo stesso
argomento nel numero 15 di "storialocale" (pp. 52-l0l).
In entrambi i casi, si tratta di
grandi complessi immobiliari di carattere religioso, ciascuno dei quali soffre
di molteplici criticità: la ex-chiesa di San Lorenzo, demanializzata e sotto la
tutela della Soprintendenza, ha ricevuto per ora, fra il 1989 e il 2000,
interventi di consolidamento statico e messa in sicurezza dei numerosi
affreschi ivi esistenti, mentre l’ex-convento degli Agostiniani annesso
(passato in proprietà del Comune di Pistoia), dove il chiostro rinascimentale è
stato anch'esso ripulito e restaurato dalla Soprintendenza, attende ancora una
consona utilizzazione, per la quale sono stati proposti project financing finora rimasti senza esito. Il complesso conventuale
della Santissima Annunziata, in cui tuttora la chiesa parrocchiale è officiata
dai Servi di Maria, come in origine, ed è di pertinenza della Diocesi di
Pistoia come la piccola parte del convento destinata a canonica, mentre il
resto dell'antica sede dei frati è del Demanio, soffre anch'esso di una cronica
mancanza di fondi, tanto che il tetto della chiesa è pericolante e il resto del
fabbricato demaniale, oggi abbandonato al degrado, non ha potuto trovare, per
lo stesso motivo, un'adeguata utilizzazione.
Ha suscitato un vivo interesse e un’ampia
partecipazione di cittadini la visita straordinaria al complesso di San
Lorenzo, che si è potuta organizzare grazie alla disponibilità e allo spirito
di collaborazione del Comune di Pistoia e della Soprintendenza, nel pomeriggio
dello stesso 3 ottobre 2010, dedicato la mattina all'incontro. L'interesse si è
ulteriormente prolungato anche in seguito: un pubblico dibattito televisivo,
nella rubrica "Canto al Balì" di TVL, si è tenuto il 13 ottobre
seguente, col titolo provocatorio: "San
Lorenzo. Incontrarsi e dirsi addio?". Nel frattempo, colpito dalla
bellezza del chiostro recuperato al degrado – per quanto gli interventi-tampone
ivi attuati dalla Soprintendenza fossero rimasti interrotti per mancanza di
fondi – il vivaista Miro Mati si è offerto di realizzare gratis nel chiostro un
suggestivo arredo arboreo in stile rinascimentale, da attuare previ accordi con
l’ente proprietario, cioè il Comune di Pistoia. La proposta si aggiunge alla
richiesta, avanzata da parte dell'Associazione "Pistoia città di
tutti", di consentire l'accesso, sia pur saltuario, del pubblico al
chiostro stesso, magari stabilendo un calendario di aperture. Ancora il 3 marzo
è stata possibile una visita al complesso monumentale per un nutrito gruppo di
persone, facenti parte della Delegazione FAI di Prato-Pistoia.
Da osservatore attento, era stato
presente a quella prima, eccezionale visita del 3 ottobre 2010 a San Lorenzo
anche Giuliano Beneforti, con il quale ho avuto modo di scambiare qualche parola
in quella occasione. Lui allora si mostrava già pessimista circa la possibilità
di ottenere, o comunque promuovere, con i soli mezzi della sensibilizzazione
diretta dell'opinione pubblica, qualche risultato concreto per il recupero di
quella grande e onerosa costruzione. Ma proprio quella visita deve aver
sollecitato in lui riflessioni che poi ha ritenuto utile far conoscere sulle
pagine di questa rivista.
Egli comunque allora ebbe modo di
constatare direttamente l'interesse e la partecipazione della gente di Pistoia,
andata a visitare quel luogo, ormai sconosciuto a più generazioni di cittadini, come per ricongiungersi finalmente
ad un pezzo mancante della propria storia. E colpisce, proprio per questo, che
le riflessioni di Beneforti non comprendano anche tale evento, che invece è
stato completamente omesso nelle sue osservazioni recentemente pubblicate: come
se questo fosse stato talmente trascurabile da dover essere passato sotto
silenzio. Ma forse questa omissione serviva alla tesi da dimostrare.
Beneforti sposta l’analisi sulla
società contemporanea, definita materialista, consumista ed egoista, incapace
di un reale interesse per la cultura e il suo ruolo civile, specialmente quando
dovessero essere necessari sacrifici economici individuali.
L’ampia disamina, schiacciata tutta
su un presente privo di programmi per la tutela delle radici storico-culturali
della nostra Nazione così come di lungimiranti progetti per la futura qualità
della vita della società civile, serve a Beneforti per ricondurre in modo
impassibile la situazione generale a quella locale. Il suo panorama si traduce
nella soffocante presenza di una serie di elementi la cui interazione, sul
cosiddetto patrimonio culturale, pare di fatto escludere, da parte dei pubblici
amministratori e dei cosiddetti "poteri forti", un impiego
consistente di capitali per la salvaguardia del carattere e del valore di
ciascuno dei beni per i quali, peraltro, è prevista la tutela ai sensi dell’art.
9 della Costituzione e delle disposizioni legislative attualmente in vigore
sulla materia.
Pare dunque che questa analisi sia
implicitamente come la pars destruens
delle conclusioni stesse, solo apparentemente propositive, in quanto di fatto
negate dalle stesse premesse, dove se ne dimostra l'inutilità o, quanto meno,
l'inefficienza.
Nell'analisi di Beneforti riaffiora
chiaramente la riaffermazione di un'ideologia ben connotata, secondo la quale
la "cultura" non è che "sovrastruttura"
dell'"economia", vero cardine, quest'ultimo, della storia umana.
Ma se la maggioranza – argomenta
Beneforti – si mostra sostanzialmente sorda alle istanze culturali il cui
rispetto (secondo quanto previsto dalla Costituzione e dalle leggi) le nostre
Associazioni propugnano, ne deriva allora che queste ultime non siano che una
ininfluente minoranza priva di qualsiasi forza di indirizzo per attuare la
salvaguardia del patrimonio monumentale e della configurazione storica urbana
di Pistoia: "Bisogna quindi – egli asserisce – tenere conto senza
ipocrisie del fatto che chi si pone problemi di valorizzare il patrimonio
storico e architettonico è sostanzialmente un gruppo di ‘giacobini’ che
difendono valori non condivisi dalla maggioranza dei cittadini e ciò ha le sue
conseguenze sulle possibili fonti di finanziamento degli interventi auspicati"
(p. 102).
In quest’ottica, gli unici soggetti
che possono condizionare il recupero o la perdita del patrimonio architettonico
di pregio della città non possono che essere i detentori di grandi capitali:
solo a loro in realtà spetta, quando ne ravvisino la convenienza economica,
investire queste ricchezze in quegli edifici di pregio che meglio si prestano
ai loro progetti di visibilità autoreferenziale oppure di remunerativa
speculazione immobiliare.
I chiari orientamenti economicistici della gestione della cosa
pubblica attuale, condivisi dalla società contemporanea, selezionano le scelte
in senso utilitaristico, spesso per soddisfare i bisogni primari della
popolazione, piuttosto che in senso favorevole ad interventi di tutela
compatibile di beni di valore culturale: "La cultura non si mangia".
Perciò non parrebbe praticabile oggi, secondo l'autore, alcuna oculata e
lungimirante politica di
salvaguardia e prevenzione, né attuare un recupero compatibile con i caratteri
e le originarie funzioni di un edificio antico, destinando risorse per
realizzare “artificiosamente musei, biblioteche, sale da concerti all'infinito”,
oppure intervenendo "a soli fini turistico-culturali" (p. 103).
Pertanto è lecito, secondo
Beneforti, acquistare una chiesa per farvi un ristorante (si riferisce, senza
menzionarlo, al caso eclatante della chiesetta romanica di Santa Maria del
Giglio): “un ristorante in una chiesa può funzionare benissimo se il restauro e
gli impianti tecnici sono inseriti con accortezza e sensibilità”, né possono
essere condivise “alcune posizioni estreme che tendono ad accettare solo
funzioni perfettamente corrispondenti al carattere e alle funzioni originali”
(p. 103).
A parte quanto prevedono le vigenti
leggi sui beni culturali, orientate in tutt'altro senso pur nella prudente
concretezza del 'caso per caso', su questo potremmo essere d’accordo, ma solo
in quanto l'uso che si fa di quella chiesa non sia offensivo rispetto ai valori
e alla posizione religiosa propria ancora di larga parte della popolazione. E
dunque non riteniamo che sia accettabile che all'interno di quella chiesa
trasformata in ristorante esista tuttora il grande altare in pietra, col quadro
cinquecentesco raffigurante una Madonna
col Bambino e Santi (ribattezzato “altare-di-vino”
e la cui mensa è divenuta supporto di bottiglie) e che i confessionali ancora
ivi esistenti siano stati adibiti ad alloggiamento di bicchieri e stoviglie; e
neppure possiamo accettare, anche soltanto in nome del semplice buon gusto, che
nel locale si siano svolti, dinanzi a quell'immagine sacra, spettacoli notturni
cui ha partecipato anche la ben nota show-girl Belén Rodriguez.
Mi chiedo se sia effettivamente
adeguata al nostro presente, così ‘pluralistico’ e relativizzato, una
concezione ideologicamente così ‘datata’: le cui origini affondano – come ben sanno gli storici dell'età
contemporanea, che ancora discutono sul riferimento ai principi della
Rivoluzione Francese dei movimenti politici e democratici dell’Otto-Novecento – proprio in quella ideologia giacobina,
di carattere radicalmente egalitario, che alla fine del secolo XVIII portò alla
soppressione degli antichi assetti istituzionali e di potere, ma anche alla
distruzione o mutilazione irreparabile di tanti monumenti celebri in Francia,
solo perché ritenuti simbolo e testimonianza, da eradicare, del potere
tirannico dei re e della Chiesa.
Il quadro di sottofondo all’analisi
di Beneforti si configura, implicitamente, a favore di una città-specchio di
una utopistica "società di uguali", dove ogni differenziazione
ostacola l'attuazione di un progetto culturale e demografico: per cui viene
condannata l'azione urbanistica svolta nei decenni passati dal Comune di
Pistoia – dove peraltro negli
stessi anni Beneforti ha svolto funzioni di dirigente all’urbanistica –, che
secondo l'autore ha troppo consentito di fare del centro di Pistoia un
"salotto buono", a fronte di "una periferia degradata di bassa
qualità formale senza attrezzature e servizi adeguati" (p. 100). A questo
avrebbe dovuto contrapporsi una configurazione della città dall'attenuato
profilo identitario del "centro", a tutto favore di una conurbazione
diffusa, estesa a macchia d’olio al di fuori della cinta muraria, da attuare
mediante una politica mirata di decentramento degli uffici pubblici e dei servizi
essenziali.
In quest’ottica, la città
plurisecolare, con tutta la sua varietas, doveva trasformarsi in 'abitato-massa'
privo di confini; le sue sopravvivenze monumentali, frammentate e snaturate
dall'impatto di un utilitarismo pregiudiziale circa le loro future funzioni, si
configuravano sostanzialmente come presenze di disturbo, il cui destino doveva
dipendere dai detentori di capitali.
Una diversa visione caratterizza
l'azione di documentazione, sensibilizzazione, richiesta di tutela e di usi compatibili
del patrimonio della città che le nostre Associazioni di volontariato culturale
hanno cominciato a compiere, al servizio dell’educazione di una società civile
che in modo sempre più urgente, a nostro avviso, ha bisogno di recuperare tutta
la ricchezza del proprio passato per spenderlo, se non altro, in un presente
oggi squilibrato e confuso da presenze multietniche e caduta dei valori
religiosi e civili. E in un tempo in cui, nel chiudersi tanto spesso in casta
autoreferenziale della politica attiva, la partecipazione democratica dei
cittadini è di fatto sostituita da altri inaccettabili surrogati, oppure è
consentita ai pochi addetti ai lavori esterni, oppure ancora è per lo più
tradotta in informazione passiva, mediante opportuni opuscoli, distribuiti al
pubblico a cose fatte.
Per noi, vale il principio
dell'educazione del corpo sociale, di cui siamo parte, alla percezione dell’importanza
strategica per il nostro stesso futuro, e alla sua rilevanza come bene primario, dell'intero
patrimonio culturale, in senso lato, che caratterizza la nostra civiltà
italiana: punto di forza, a nostro avviso, per guidare verso una società ricca
di spunti di progresso, accogliente e vitale, che sappia mettere a frutto
pacificamente ogni diversità come un valore aggiunto.
Apparteniamo, è vero, ad una
minoranza, perché la cultura stessa nasce come insieme di testimonianze
elitarie delle opere dell’ingegno umano, che presuppongono attitudini e
competenze specifiche, ma che si traducono poi, a livello generale, in progresso
civile e scientifico. La cultura continua ad essere per noi (è un concetto
vecchissimo che però è necessario ricordare al nostro rissoso e settario
presente) l’unico elemento di civiltà internazionale, l'unico punto di forza
per un'etica sociale pacifica e aperta.
Perciò, riteniamo che bisogni senza
sosta ridare ‘visibilità’ a questo nostro prezioso patrimonio, da spendere per
rendere più umana e alta la qualità della vita di ogni persona: chiedendo la
tutela, il restauro, l'uso consapevole e appropriato di questi beni, come
opportunità insostituibile da non disperdere, non consentendo che nel silenzio
e nella mancanza di informazioni si consumi la sostanziale alienazione di una
ricchezza di tutti per far cassa e colmare i buchi di bilancio delle Amministrazioni
locali: che quei beni giuridicamente posseggono col compito di gestirli al
servizio dell’intera comunità.
Chi si impegna nella
sensibilizzazione dell’opinione pubblica nei riguardi delle testimonianze
culturali del nostro paese e, nella fattispecie, di quelle attinenti a Pistoia
e al suo territorio, è ben consapevole che un astratto idealismo non può
salvare questo sterminato patrimonio, colpevolmente abbandonato al degrado
spesso da molto tempo, e quando con cifre ragionevoli si poteva agevolmente
curarne la manutenzione e il restauro; così come sa bene che oggi occorrono
capitali così consistenti, per questo recupero, da implicare che lo stesso
numero di possibili finanziatori e investitori debba di necessità restringersi,
con l'aumentata onerosità di ogni intervento, così come debba,
conseguentemente, diminuire in modo radicale il numero degli episodi
architettonici che possano avere titolo per essere recuperati.
Ad un’indagine realistica sul
fattibile, nessuno si illude: già da ora andrà prospettato un vasto
depauperamento, per crollo, di quanto costituisce la specificità culturale e
artistica della Nazione; così come, del resto, andrà prospettato un ulteriore
degrado del paesaggio, sotto la spinta abitativa e per la necessità di attivare
grandi e diffusi impianti per la produzione di energia alternativa e per lo
smaltimento dei rifiuti.
Già si contano a decine gli episodi
clamorosi di questa disfatta epocale della cultura in Italia, cui semmai si
oppongono sporadicamente gli investimenti di grandi capitali (per fini
autoreferenziali, pubblicitari o speculativi) esclusivamente interessati ad
ottenere adeguata ‘visibilità’ per fare ulteriori affari. Si possono fare qui
solo alcuni esempi: come la richiesta da parte di un grande industriale di
avere la privativa per il restauro del Colosseo, ad perpetuam rei memoriam; oppure, spigolando, l’offerta da parte
del cardinal Sepe a Napoli, gratis e in comodato d'uso per un certo periodo di
tempo ai detentori di grandi capitali, per far restaurare ed utilizzare
illustri chiese fatiscenti e in rovina nonostante alcune di esse siano state
dichiarate "patrimonio dell’umanità". Oppure, ancora si possono
menzionare le iniziative “Florens” a Firenze, orientate a produrre eventi di
carattere spettacolare destinati ad attrarre masse poco acculturate.
Mentre lo Stato centrale si
allontana sempre più dalle periferie col sistema delle deleghe, e il “federalismo
demaniale” altera, di fatto, lo stesso sistema legislativo di tutela
centralizzata dei beni culturali (prevedendo il passaggio alle comunità locali
di parte del patrimonio demaniale a titolo di rimborso economico a fronte dei ‘tagli’ apportati, perché esso serva in
realtà a ripianare bilanci dissestati mediante privatizzazioni e vendite), non
resta allora, se non altro come estrema attestazione di impegno civico, che il
compito di testimoniare con fermezza il valore non solo materiale, ma culturale
e ideale di quei beni, il pericolo sempre più reale e consistente della loro
perdita, la necessità della loro memoria e documentazione.
E questo quando si stanno già
configurando le megalopoli e le “aree vaste”, dove alle antiche città storiche,
relegate ai margini dei processi decisionali e di governo attribuiti ai nuovi “centri”,
forse spetterà solo il ruolo di inessenziali sopravvivenze di un passato
superato e dimenticato, soprattutto dalle giovani generazioni, semmai da
utilizzare per la localizzazione e distribuzione territoriale dei servizi di
prima necessità, o come luogo di divertimenti nel tempo libero.