mercoledì 30 novembre 2011

Focus group sul piano di recupero del comparto di San Bartolomeo


L’Associazione “Pistoia città di tutti”, che già nello scorso mese di luglio aveva manifestato anche a mezzo stampa le proprie riserve sul progetto di realizzare un parcheggio multipiano interrato entro l’area ortiva sul retro dell’ex-complesso monastico di S. Bartolomeo in Pantano, in base a quanto poteva conoscersi su tale intervento di trasformazione urbanistica di Pistoia, ha preso poi visione degli elaborati progettuali resi disponibili da parte dell’Amministrazione Comunale, a partire dallo scorso mese di ottobre, e vi ha riscontrato elementi di criticità che non consentono di sciogliere le riserve formulate in prima istanza.
La detta Associazione, fra l’altro, lamentava che l’attuazione da parte del Comune del diritto alla partecipazione della cittadinanza pistoiese, ivi compresi i residenti del quartiere adiacente a S. Bartolomeo direttamente interessati, sia stata orientata a predisporre settorialmente tornate informative, a conclusione della fase istruttoria da parte degli uffici competenti, organizzate dalla medesima Amministrazione Comunale, come annunciato a mezzo stampa dal Garante, per i giorni 3 e 30 novembre e 7 dicembre 2011.
L’Associazione “Pistoia città di tutti”, intanto, ha organizzato a Pistoia, il 20 novembre scorso, insieme con il “Comitato No Parcheggio interrato in S. Bartolomeo” e con il “Gruppo Qualità dell’Abitare - Libera Officina 1° Maggio” del quartiere di Porta S. Marco, un Forum dedicato all’informazione e alla discussione su tale progetto, aperto a tutta la cittadinanza. Da questo incontro sono emersi ulteriori riscontri a supporto della posizione dell’Associazione, che saranno pubblicati a cura della medesima.
I risultati dell’iniziativa verranno fatti presenti, fra l’altro, agli enti interessati ed ai competenti organi deliberativi, con la volontà di offrire un contributo utile alla valutazione del progetto.

Dott.ssa Lucia Gai
Coordinatrice dell’Associazione “Pistoia città di tutti”

sabato 1 ottobre 2011

IL COMPLESSO MONUMENTALE DI SAN LORENZO A PISTOIA

PROFILO STORICO-ARCHITETTONICO
Il complesso monumentale di San Lorenzo a Pistoia ebbe origine da una delle due comunità di Frati Eremitani già insediatisi nelle vicinanze di Pistoia intorno alla metà del Duecento. Un romitorio con cappella esisteva già presso Gugliano nel 1254, ad ovest della città. Il secondo insediamento eremitico è menzionato nel 1272 nella zona collinare a nord dell’abitato urbano, in località Valle Bona. In tale data questi frati eremitani avevano chiesto e ottenuto dal Vescovo Guidaloste di poter edificare una nuova chiesa all’interno della cinta muraria delle circole, nei pressi del fiume Brana, nel territorio di Porta Guidi, sotto il titolo della Gloriosa Vergine e del Beato Lorenzo.
La posa della prima pietra della chiesa di San Lorenzo avvenne il 3 luglio 1278 ed i lavori di costruzione proseguirono durante il secolo seguente; invece dal penultimo decennio del XIII secolo i frati si curarono di acquisire i terreni necessari per il complesso conventuale e la relativa piazza.
L’impianto agostiniano fu l’ultimo di quelli conventuali degli Ordini Mendicanti a Pistoia, fu preceduto infatti da Francescani, Domenicani, Servi di Maria e Carmelitani.
A questi Ordini conventuali andarono ad unirsi nel 1288 gli Umiliati, frati a vocazione pauperistica di origine lombarda.
La costruzione della grande chiesa di San Lorenzo fu effettuata utilizzando in parte il pietrame ricavato dalla demolizione di tratti della seconda cerchia di mura cittadine, concessa dal Consiglio comunale tra 1293 e 1295.

La struttura della chiesa, che assunse dimensioni amplissime fra Medioevo e Rinascimento, seguì gli stilemi dell’architettura gotica mendicante, consistente in un ampia navata unica coperta con una orditura lignea a vista e zona absidale arricchita di cappelle. In un edificio simile rivestiva grande importanza il coro, che serviva a distinguere la zona della chiesa adibita al culto divino da parte dei frati dalla parte destinata invece ai fedeli.
Già nel 1309 la zona presbiteriale ed il coro dovevano essere prossimi alla conclusione; alla metà del secolo buona parte dell’ampia navata unica doveva essere perimetrata da mura. Verso la metà del Trecento, e specialmente dal 1348, anno in cui scoppiò la peste nera, si ha notizia documentaria della richiesta da parte di vari personaggi pistoiesi di essere sepolti all’interno della chiesa, e questo significa che era in buona parte formato lo spazio interno dedicato ai laici. Si pensa che l’intero perimetro murario della chiesa sia stato terminato intorno al 1360, perché è menzionata la porta principale anteriore.
Considerando le proporzioni dell’edificio, non canoniche rispetto a quelle adottate dai mendicanti, è ipotizzabile che l’intero volume della chiesa comprendesse allora anche un’aggiunta in direzione sud-ovest per ampliare lo spazio dedicato ai fedeli. Pare confermarlo il fatto che la linea di facciata sopravanza il fronte del lato di sud-ovest che delimita il chiostro grande.
Nella seconda metà del secolo XIV si ha la sistemazione della grande porta lignea a due ante per l’ingresso in facciata, donata dal comune nel 1363 e proveniente dal San Giovanni Battista.
Nel 1368 i frati erano ancora dietro alla copertura di parte del tetto ligneo e quindi il completamento della chiesa è da ritenersi posteriore a questa data.
Le indagini compiute sulle pareti interne dell’ampia aula della chiesa, in seguito ai restauri della Soprintendenza (1989-2000), hanno messo in luce una ricca campionatura di affreschi databili fra gli ultimi decenni del Trecento e parte del quattrocento, a testimonianza della frequentazione e della devozione di membri di agiate famiglie pistoiesi che si facevano seppellire al suo interno.
Nello stesso periodo sono attestati alcuni altari: l’altare maggiore era di patronato Dondori; la cappella laterale sinistra era dedicata a Santa Caterina, sotto il patronato della famiglia Panciatichi, mentre la cappella laterale destra era dedicata a San Giovanni Battista e alla SS. Trinità, con l’originario patronato di Ranieri Simiglianti.
Dopo i cancelli che separavano il coro dalla parte destinata ai fedeli, è nota la posizione dell’altare di San Lorenzo, seguito dall’altare di San Nicola da Tolentino e da quello di S.Agostino, collocati tutti sul fianco sinistro adiacente al chiostro.
Sono documentati nella prima metà del Trecento la Sagrestia, la sala Capitolare ed un secondo braccio del chiostro, ma anche una farmacia, a testimonianza di una notevole ricchezza di articolazioni del convento. Sul secondo lato del chiostro, al di sopra di questi ambienti, era stato realizzato il dormitorio, mentre nel braccio contrapposto che delimitava sul lato di sud-ovest il chiostro, si trovava la Compagnia della Crocetta, con il relativo oratorio: essa era una Società di Disciplinati già menzionata nel 1338 (quando è attestato il sepolcro comune ubicato in chiesa) e nel 1387.
Alla fine del Trecento il complesso conventuale aveva raggiunto sostanzialmente la sua definitiva conformazione.
Durante il Quattrocento non sono documentati gli interventi architettonici più importanti, e neppure restano notizie della costruzione dell’attuale chiostro in forme rinascimentali, tuttavia essa può essere collocata, proprio per le forme di riferimento ancora michelozziane, entro i tre ultimi decenni del Quattrocento, come parrebbe indicare la conformazione dei capitelli ionici ivi adottati.
Restano tuttavia importanti indizi documentari di opere di rifacimento, sia per la chiesa che per il convento, durante il tardo secolo XV. Tali interventi, piuttosto costosi, interessarono la facciata della chiesa, nell’ultimo decennio del Quattrocento, ed anche il complesso conventuale. Per quest’ultimo tuttavia non conosciamo quali siano state le modifiche fatte. Risalgono a questo stesso momento storico i due grandi affreschi eseguiti in controfacciata fra il 1480 ed il 1490: quello a sinistra del portale maggiore, raffigurante la Madonna con il Bambino ed i Santi Sebastiano e Tobiolo è attribuito ai pittori Niccolò di Mariano e Bernardino del Signoraccio, mentre l’affresco di destra, raffigurante una natività, di poco più tarda, è ritenuto opera di Niccolò di Mariano.
All’interno della chiesa, quando venne effettuata nel 1582 la visita ad opera del visitatore apostolico Monsignor Angelo Peruzzi Vescovo di Sarsina, la situazione degli altari risulta già modificata rispetto alla configurazione trecentesca. Le due dedicazioni delle cappelle laterali del coro erano rimaste le stesse, ma il patronato di quella di destra era passato ai Villani. La cappella di sinistra, dedicata a Santa Caterina, era ancora sotto il patronato Panciatichi ma risultava in abbandono. Sul lato sinistro della chiesa, continuavano ad esservi gli altari di San Lorenzo, di San Nicola da Tolentino e di S.Agostino ma vi si erano stati aggiunti l’altare della Concezione ed un secondo altare sempre dedicato alla Vergine, in fondo alla chiesa, probabilmente in relazione con l’affresco di Niccolò di Mariano e di Bernardino del Signoraccio. Sul lato destro della chiesa si trovavano gli altari di San Jacopo, di San Sigismondo, di Santa Monica e l’altare della visitazione della Vergine.
Ai primi del Seicento un ruolo di particolare rilievo ebbe il chiostro grande, dove le lunette furono dipinte con storie di S.Agostino da Ulisse Giocchio da monte San Savino nel 1617. Una finta lapide dipinta ai piedi di una lunetta del secondo braccio del chiostro, ne attesta la paternità. Il pittore, come dimostrano le ricevute del 1611, evidentemente si era trattenuto più anni nel convento. Giuseppe Dondori, erudito sacerdote del Seicento (della Pietà di Pistoia, 1666) attesta che ai suoi tempi tutti i disomogenei altari precedenti erano stati trasformati negli altari contro riformati di pietra di macigno. Per altro la chiesa, intorno al 1586-1587, era stata dotata di un organo costruito ad opera di Cesare Romani da Cortona, la cui mostra fu realizzata dal maestro Jacomo Bartolomei da Pistoia.
Alla fine del settecento gran parte del convento e della chiesa furono occupate dalle truppe napoleoniche, e l’occupazione si ripetè qualche anno dopo. Con i due decreti napoleonici del 1808 e del 1810 la comunità agostiniana di San Lorenzo venne soppressa, lasciando posto nel 1815, e fino al 1866, alla comunità dei Cappuccini, di servizio agli Spedali Riuniti.
La plurisecolare presenza dei frati agostiniani in quest’area urbana aveva anche contribuito a rimodellare l’area urbana circostante al complesso conventuale; in particolare, tra Sei e Settecento con la costruzione di diverse case popolari da dare in affitto, tuttora in gran parte rimaste intorno alla piazza.
Nell’Ottocento alcuni documenti di carattere tecnico amministrativo informano sullo stato di conservazione dell’antico complesso conventuale. Particolarmente importante fra questi è una planimetria del 1828, grazie alla quale possiamo conoscere con esattezza la conformazione della chiesa e dell’annesso convento. All’interno dell’edificio religioso compaiono su ciascuno dei due lati che si rispondono simmetricamente; alle spalle della cappella di Santa Caterina, sulla sinistra della cappella maggiore, risulta ancora un vano a perimetro quadrangolare che corrisponde all’antico basamento del campanile, attualmente perduto.
Con le soppressioni del periodo post unitario, il complesso monumentale conobbe notevoli cambiamenti e nuove destinazioni d’uso. Per breve tempo la chiesa continuò ad essere aperta al culto come parrocchiale, mentre il convento fu utilizzato anche come ricovero e ospizio e poi restituito alla municipalità. Dal 1877 ebbe inizio una radicale trasformazione ad opera del demanio militare che incise soprattutto nella conformazione della chiesa, dalla quale, fra il 1881 ed il 1883, furono tolte le mostre d’altare in pietra, acquistate dall’antiquario Bardini e collocate sulla facciata del suo palazzo fiorentino ad incorniciare le finestre, e le varie tele, di alcune delle quali si sono perse le tracce.
La trasformazione della chiesa agostiniana in distretto militare comportò la realizzazione all’interno di una struttura portante costituita da nove setti murari trasversali dotati di grandi arcate di passaggio sui quali furono impostati due solai lignei determinando la frammentazione dell’originario spazio unitario. La necessità di dotare questi nuovi spazi di alloggiamento militare di adeguate aperture finestrate, portò inoltre alla realizzazione di tre ordini di finestre che si aprivano sul fronte est e, per i soli due livelli superiori, anche in facciata e sul fronte ovest, al di sopra del chiostro.
Di particolare importanza per la tecnica ingegneristica adottata è la scala di accesso ai vari livelli, impostata su volte rampanti alla romana, realizzata all’interno dei vani un tempo corrispondenti alla cappella di Santa Caterina e all’adiacente campanile.
Già alla fine dell’Ottocento comunque era nota la presenza di affreschi sotto lo scialbo delle pareti perimetrali della ex chiesa, oramai trasformata in distretto militare, e così anche agli inizi del Novecento: ad esempio la grande crocifissione che decorava la lunetta esterna sopra la porta principale di ingresso, che corse il rischio di essere rovinata durante i lavori di trasformazione del demanio, venne preservata grazie anche alle proteste dell’opinione pubblica con la realizzazione di una controparete. Solo nel restauro realizzato nel 2003-2004 il dipinto tardo Trecentesco è stato rimesso in luce.
Dopo l’ultima guerra l’ex chiesa divenne un rifugio per gli sfollati e poi, sino agli anni Sessanta fu utilizzata anche come locale per la produzione di mobili (Arte del legno di Arrigo Nobili, come testimoniava ancora fino alla fine degli anni ottanta la scritta in facciata). In seguito il complesso fu utilizzato come deposito dei cantieri comunali.
L’ipotesi di destinare l’ampio volume della ex chiesa di San Lorenzo come nuova sede dell’archivio di Stato di Pistoia ha promosse l’avvio dei lavori di restauro nel 1989. Rivelatasi poi inattuabile questa ipotesi i lavori di restauro sono stati interrotti al consolidamento delle strutture e delle coperture ed ai saggi esplorativi sulle pareti che hanno fatto emergere in gran parte ciò che resta degli affreschi Tre-Quattrocenteschi. L’intervento effettuato dalla Soprintendenza è servito anche a recuperare e a dare nuova dignità architettonica all’attiguo chiostro rinascimentale. Mancano attualmente precise destinazioni d’uso del complesso.


Attualmente il complesso monumentale, perimetrato da piazza San Lorenzo, via del Maglio, via del Piloto e via della Crocetta, è suddiviso in due proprietà: l’ex convento è di proprietà del comune di Pistoia, e comprende una superficie totale di 5.100 mertri quadrati, con spazi porticati per 890 metri quadrati e spazi aperti per 3.550 metri quadrati. Il chiostro grande si estende per 1.850 metri quadrati. L’ex chiesa invece, rimasta di proprietà demaniale, è sotto la custordia della Soprintendenza. L’edificio si estende in lunghezza per circa 75 metri ed in larghezza per circa venti metri, con una superficie di base di circa 1.500 metri quadrati. Dei tre livelli utilizzabili nella sistemazione a caserma, attualmente restano quello a piano terreno e quello del sottotetto.
  1 ottobre 2011
Scheda a cura dell'Associazione di volontariato culturale “Pistoia città di tutti”

domenica 18 settembre 2011

S. MARIA DELLE GRAZIE E I SUOI TESORI


GIORNATE Europee del Patrimonio 2011
S. MARIA DELLE GRAZIE E I SUOI TESORI
Pistoia, 17-30 settembre 2011
Il terzo degli appuntamenti culturali organizzati dalle associazioni “Pistoia città di tutti”, “Amici dei Musei e dei Monumenti di Pistoia”, “Storia e Città” e dalla FIDAM (federazione Italiana degli Amici dei Musei) è dedicato al tema “S. Maria delle Grazie a Pistoia e i suoi tesori”, nel quadro delle “Giornate Europee del Patrimonio” coordinate dal Ministero dei Beni Culturali per l’anno 2011.
L’argomento trattato rientra in quello di più ampio respiro che queste associazioni hanno voluto dedicare a Il patrimonio monumentale della città fra restauro riuso e abbandono, nel quadro di una riflessione e di un dibattito aperto ai cittadini sulla qualità dell’attuale contesto urbano.
Oltre a delineare con precisione l’importanza monumentale del complesso di S. Maria delle Grazie, poco noto agli stessi pistoiesi, i promotori si propongono questa volta di additare alla pubblica attenzione, attraverso questo caso particolare, la necessità di ripensare in modo complessivo e organico il ruolo dei giacimenti culturali nelle prospettive di sviluppo della città. Manca a tutt'oggi una strategia mirata, almeno di medio periodo, sull'uso del patrimonio e dei beni culturali di Pistoia, per ottenere una valorizzazione e una vitalizzazione anche del comparto socio-economico. È invece proprio questo il momento, nell'attuale crisi economica e di valori, di dare un posto e un ruolo preciso a queste autentiche ricchezze sinora trascurate e progressivamente destinate ad incidere sempre meno sul futuro della città e sulla formazione dei cittadini. L'ambiente urbano, costituitosi nei secoli come un'irripetibile "opera d'arte collettiva", se non opportunamente considerato, perde la capacità di rigenerarsi e di modellarsi in un armonico sviluppo di funzioni.
Per questo motivo dell’iniziativa fanno parte anche eventi collaterali organizzati in collaborazione con istituzioni culturali quali l’Archivio di Stato e il Museo Civico, che hanno allestito percorsi conoscitivi collegati col tema principale. Inoltre, come di consueto, la Giornata di studio che si terrà la mattina del 18 settembre nel Palazzo dei Vescovi (gentilmente concesso dalla Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia Spa) sarà preceduta, nella Sala conferenze di Palazzo Fabroni, dalla presentazione del secondo volume di Atti del Convegno dedicato nel 2010 al complesso di San Lorenzo. Per le due Giornate sarà presente un relatore d’eccezione, il prof. Marco Romano, urbanista e saggista, tra i massimi esperti di “estetica della città”.
Per la ricca articolazione di questi incontri, l’iniziativa è stata inserita dal Ministero tra le più rilevanti tra quelle organizzate in occasione delle “Giornate Europee del Patrimonio”. Gli eventi in programma sono realizzati, con il patrocinio del Comune di Pistoia, in collaborazione con l’Archivio di Stato di Pistoia, l’Associazione “Amici del Ceppo” di Pistoia; l’Azienda USL3 Pistoia; la Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia Spa; la Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia; il Lions Club Pistoia; il Museo Civico; la Soprintendenza per i Beni Architettonici, Paesaggistici, Storici, Artistici ed Etnoantropologici per le province di Firenze Pistoia e Prato; Settegiorni Editore.
Per informazioni e contatti: http://pistoiacittaditutti.blogspot.com - gchelucci@yahoo.it (0573-31881).

sabato 17 settembre 2011

Presentazione degli Atti della Giornata di studio

Sabato 17 settembre 2011, ore 16.00
 Pistoia, Palazzo Fabroni, Sala delle conferenze
(via Sant’Andrea n.18, primo piano)

Il prof. Marco Romano,  docente di urbanistica e noto saggista su l’“estetica della città”, presenterà il volume di Atti della Giornata di studio: Il patrimonio monumentale della città fra restauro, riuso e abbandono. Fuori e dentro San Lorenzo (Settegiorni Editore). Il secondo della serie iniziata con Il caso della SS. Annunziata. L’iniziativa, in collaborazione col Comune di Pistoia, apre gli eventi culturali promossi a Pistoia in occasione delle Giornate Europee del Patrimonio 2011.
 
I luoghi della civiltà sono quelli in cui il presente si arricchisce e si fa consapevole di un’ininterrotta testimonianza di opere dell’ingegno umano, nel solco della tradizione umanistica e del civismo illuminato. È questo l’ambiente costruito ‘a misura d’uomo’, in cui ci riconosciamo e in cui ancora individuiamo motivi di speranza. Ogni persona modella la sua individualità lungo percorsi e dinanzi a immagini, spazi, percezioni che compongono un insieme tanto affascinante quanto fragile e delicato. La città, come ha sottolineato Marco Romano, è una vera opera d’arte collettiva, dove ognuno è attore e spettatore nel plasmare un’identità caratteristica e in continuo divenire. In ogni città, piccola o grande che sia, si apre lo stesso comune scenario, che pone sfide ad un presente talvolta confuso o sviato da interessi settoriali. Su questo tema, e nell’analisi di un particolare monumento pistoiese entro il suo contesto urbano, si confrontano questa volta amministratori, architetti, studiosi, cittadini: ma parlare di un monumento nella città di Pistoia è parlare di un contesto molto più ampio che riguarda un’intera civiltà durante un suo cambiamento epocale.

mercoledì 27 luglio 2011

Il complesso monumentale di Santa Maria delle Grazie alias del Letto

L'edificio è situato nel quadrante urbano di nord-est, fra lo Spedale del Ceppo ad ovest e il complesso monumentale di San Lorenzo, un tempo dell'Ordine Agostiniano, ad est. La zona urbana, interessata dal serpeggiante corso del torrente Brana restato in buona parte ancora scoperto fino all'Ottocento, era caratterizzata nel '400 da due ponti, che attraversavano il corso d'acqua all'altezza rispettivamente della chiesa mariana e della chiesa agostiniana: più tardi, nel 1623, i due ponti scomparvero, inglobati da una canalizzazione realizzata per ampliare la piazza compresa fra S. Lorenzo e S. Maria delle Grazie.
All'origine della chiesa dedicata a S. Maria delle Grazie stavano alcuni miracoli di risanamento, compiuti dalla Vergine nello spedale dei SS. lacopo e Lorenzo entro la prima metà del Trecento (1336-1348). Tale spedale era stato fondato da Giovanni di Matteo Gualdimari nel 1330 e sottoposto al Comune di Pistoia e all'Opera di S. lacopo, allo scopo di ospitare poveri e forestieri in transito, malati e pellegrini. Entrato in funzione probabilmente nel 1333, i primi miracoli mariani accaddero nel 1336 e nel 1337, come attestano le due testate dipinte, con Madonna col Bambino e offerente inginocchiato, ricomposte poi a formare un solo letto, conservato fino ad oggi nella chiesa mariana, detta appunto anche "del Letto". Una successiva miracolosa apparizione era avvenuta nel 1348: la Madonna col Bambino in braccio era apparsa in volo ad una fanciulla ammalata da lungo tempo, l'aveva risanata e aveva annunciato la necessità di fare penitenza per l'imminente castigo divino (che venne identificato con la peste nera, che colpì allora tutta l'Europa).
L'affresco della Vergine in volo - probabilmente dipinto da un pittore bolognese verso la metà del Trecento - quando più tardi, ai primi del Cinquecento, fu raccolta dalla tradizione orale la memoria di questi miracoli affidandola ad un racconto scritto, fu ritenuto opera compiuta per intervento divino (acheròpita). L'immagine, che la tradizione riferisce esistesse sopra il letto della fanciulla risanata, nel medioevale spedaletto, fece parte di un oratorio sorto in quel luogo e dotato di un altare mariano nel 1438, ed infine, quando l'attuale chiesa fu compiuta, venne trasportata nel 1516 all'altare maggiore, dove tuttora si trova.
Nel Quattrocento la devozione per questa immagine miracolosa portò alla decisione di erigere un nuovo, più ampio santuario.
Non è noto l'architetto che disegnò il nuovo edificio, la cui serena facciata rinascimentale, dall’unico portale sormontato da lunetta contenente il bassorilievo di due orsetti araldici, con mantello a scacchi, sorreggenti una ghirlanda circolare con gli scacchi del Comune di Pistoia, e dal classico coronamento timpanato, è generalmente attribuita al fiorentino Michelozzo di Bartolomeo (1392-1472); sappiamo però che la chiesa era già iniziata nel 1469. Tuttavia i lavori si erano interrotti ed erano ripresi dal l484, con l'intervento del legnaiolo e architetto pistoiese Ventura Vitoni, e altre maestranze di costruttori, scultori e pittori. Entro il secondo decennio del Cinquecento la chiesa aveva assunto l'attuale conformazione: alla nave unica, coperta da soffitto piano ligneo decorato a cassettoni dipinti e illuminata da quattro monofore centinate in stile rinascimentale aperte sul fianco est, si connetteva una crociera sormontata da cupola emisferica cieca. Essa poggia in apparenza, con soluzione non canonica rispetto alla coeva architettura rinascimentale, su quattro colonne collegate tra loro da arconi. In realtà il peso della cupola si distribuisce prevalentemente sulle pareti perimetrali, mediante grandi archi di scarico interni alla struttura muraria. Le quattro colonne si raccordano con trabeazioni alle pareti, creando, verso l’aula, una sorta di arco di trionfo “a serliana”.
Il pittore pistoiese Gerino d'Antonio Gerini dipinse sulla testata di questo arco di trionfo un Angelo annunciante e un’Annunciata. Ai lati dell’Altare maggiore con l’immagine mariana miracolosa sono affrescati due Angeli adoranti entro cornici rotonde imitanti oculi in pietra, e le sottostanti figure di Santi ritenuti S. Iacopo e S. Lorenzo. Al pittore senese Niccolò di Mariano fu invece affidato l'incarico di dipingere i Quattro evangelisti entro i tondi dei pennacchi della cupola cieca, decorata in alto da un rosone entro cornice circolare con gli scacchi bianchi e rossi del Comune di Pistoia. L'arredo venne completato col poggiolo ligneo pensile dell'organo, disegnato da Ventura Vitoni, collocato sulla parete sinistra, e con eleganti vetrate eseguite da artisti fiorentini.
Entro il nono decennio del Cinquecento vennero costruiti gli altari laterali: sulle pareti dell'aula, presso l'ingresso, fu posto a destra l'altare con mostra lapidea della famiglia Rospigliosi, con la pala di Santa Caterina d’Alessandria dipinta dal fiorentino Giovan Battista Naldini (1537-1591); a sinistra l'analogo altare Sozzifanti, con pala di Santa Maria Assunta opera di Alessandro Fei detto "il Barbiere” (1543-1592). Nei due bracci della crociera vennero collocati a sinistra l'altare Forteguerri, con pala raffigurante La Madonna col Bambino fra i Santi lacopo, Leonardo, Agostino e l’arcangelo Michele, di Sebastiano Vini detto "il Veronese" (1530 circa-1602); a destra l'altare Dal Gallo, con pala con la Vergine Annunziata anch'essa dipinta da Sebastiano Vini.
Nel 1596 venne anche apposta, sulla parete sinistra dell'aula, una lapide marmorea con iscrizione che ricordava la miracolosa apparizione della Madonna nel 1348.
Un importante ciclo di interventi, promosso e finanziato dal canonico Giovan Battista Forteguerri –membro di una famiglia pistoiese resasi illustre nel Quattrocento per importanti opere di mecenatismo, anche per la chiesa di Santa Maria delle Grazie – fu compiuto nella ricorrenza trecentenaria dei miracoli, fra 1636 e l648: a spese dei Cellesi venne rifatto l'altare maggiore in preziosi marmi policromi; nuove mostre anch'esse in marmi policromi decorarono i due altari Dal Gallo e Forteguerri sulle testate della crociera. Tre iscrizioni, sul fastigio dei tre altari ("PER QUAM SALUS", "PER QUAM VITA", "PER QUAM REDEMPTIO") mostrano che l'insieme fu concepito con un progetto unitario. Entro lo stesso periodo venne eretta la cappelletta che tuttora contiene l'antico letto, decorata all'ingresso dai busti dei benefattori card. Niccolò Forteguerri (fondatore della scuola detta "La Sapienza”, attuale Biblioteca Forteguerriana) e il fratello cavalier Pietro Forteguerri (che fu largo di lasciti per il culto di Santa Maria delle Grazie), entrambi opera dello scultore pistoiese Santi Brunetti. Il medesimo scultore aveva disegnato il modello e lavorato l'ossatura lignea del prezioso ciborio in lamina argentea dorata, realizzato dall'orafo Giuliano Pettini dal 1643 al 1646.
Fu allora costruita e collocata sulla parete destra dell'aula la cantoria pensile lignea, imitante il contrapposto poggiolo dell'organo disegnato dal Vitoni. La cantoria, che ne imitava la conformazione rinascimentale, è collocata al di sopra della porta laterale est della chiesa. La scala di accesso ad essa e il relativo ballatoio in quota furono realizzati entro la struttura di un portichetto esterno con due colonne, che incornicia la porta laterale. Quest’ultima all’interno solo più tardi fu decorata con mostra marmorea e i due busti di membri della famiglia Cellesi, anche qui ripetendo quanto incorniciava la contrapposta cappella del Letto. Il nuovo decoro barocco di tale porta è attribuito al progetto dello scultore granducale fiorentino Giovan Battista Foggini (1652-1725) e la scultura dei busti ad Andrea Vaccà.
Risulta collegato al contesto interno della chiesa, per il rapporto con la famiglia Cellesi, anche il cenotafio del vescovo Luca Cellesi, posto sulla parete destra dell'aula, presso l'ingresso, caratterizzato dal significativo gruppo marmoreo della Carità, opera tardo-seicentesca attribuita allo scultore barocco Francesco Maria Brunetti, bolognese attivo a Roma.
Un'ampia cantoria, con coro delle monache, sovrapposta all'ingresso e ancorata alla controfacciata, venne costruita nel Settecento, ed eliminata durante i lavori di restauro condotti fra il 1892 e il l896 dall’ingegner Raffaello Parri. Altri restauri furono effettuati verso il 1960, durante i quali furono rifatte le vetrate distrutte durante i bombardamenti dell'ultima guerra mondiale, sostituito parte del paramento lapideo esterno, specialmente della facciata,  e revisionato il tetto.
Il monastero femminile agostiniano, sorto accanto alla chiesa entro le antiche strutture dell'attiguo ospizio dei Santi Iacopo e Lorenzo, ebbe inizio dal 25 marzo 1534 e un anno dopo furono solennemente consacrate la sede delle monache e la stessa chiesa. Più tardi, in occasione dei grandi lavori di ristrutturazione interna della chiesa per la ricorrenza trecentenaria dei miracoli, l'architetto Pantaleone Quadri realizzò, fra il 1636 e il 1639, i due bracci mancanti del chiostro, con veroni sovrapposti; mentre fra il 1736 e il 1738, nella ricorrenza quattrocentenaria dei miracoli, dall’architetto granducale Ferdinando Ruggieri fu costruito l'ampliamento settecentesco del monastero (parte del quale oggi è stato adattato a sede di ambulatori medici).
Soppresse il 21 agosto 1784 le Agostiniane, l'intero complesso venne annesso agli Spedali Riuniti, la cui direzione assegnò la sede monastica  resasi disponibile alle Oblate di servizio nell'ospedale. Nel 1815 la chiesa fu officiata dai frati Cappuccini, trasferitisi nel frattempo nell'ex-convento di San Lorenzo, e il 10 marzo 1841 venne istituita la parrocchia ospedaliera.
Nel 1917 le Oblate furono sostituite dalle Suore Ancelle della Carità, oriunde di Brescia, cessate di recente.
Nel 1933 furono traslate sulla parete sinistra dell'aula di S. Maria delle Grazie le spoglie dei famosi medici e scienziati Filippo Pacini (l8l2-l883), Filippo Civinini (l804-l844) e Atto Tigri (1813-1875).
Nel 2006 sono stati effettuati nuovi lavori di restauro e di adeguamento liturgico della zona presbiteriale, con opere dello scultore pistoiese vivente Adriano Mancini.
Delle molte opere d'arte pittorica accumulatesi nella chiesa di Santa Maria delle Grazie durante i secoli, in parte trasferite o spostate nel periodo delle soppressioni volute dal vescovo Scipione de' Ricci fra il l784 e il 1790 e anche nel periodo post-unitario italiano, alcune sono attualmente nel Museo Civico di Pistoia, altre rimangono nella chiesa, altre ancora, insieme a preziosi arredi liturgici, restano in custodia della Direzione degli Spedali Riuniti (USL 3), cui spetta la proprietà dell’intero complesso.
27 luglio 2011
Scheda a cura di Lucia Gai, Associazione di volontariato culturale “Pistoia città di tutti”

venerdì 15 luglio 2011

Proposta di valorizzazione del chiostro grande del Convento di San Lorenzo a Pistoia

CHIOSTRO DI SAN LORENZO A PISTOIA PROPOSTA DI VALORIZZAZIONE TRAMITE SISTEMAZIONE A VERDE
Foto aerea del complesso di San Lorenzo con evidenziata l'area del chistro grande, oggetto dell'intervento
NOTE STORICHE
Il chiostro conventuale o monastico nel Rinascimento (Lucia Gai)
Già nell'alto Medioevo il chiostro, attiguo alla chiesa, ha un'importanza fondamentale per la vita in comune del clero e dei monaci. La celebre planimetria del monastero benedettino di San Gallo, disegnata su pergamena prima dell’829, in età carolingia, configura il ruolo del chiostro quadrato, con camminamento interno perimetrato da colonne sorreggenti arcate, vero e proprio elemento ordinatore, dotato di perfezione geometrica, del complesso monastico. Questo modello, a partire dalla riforma della vita canonicale nelle cattedrali, stabilita con la Regola di Crodegango vescovo di Metz del 754, fra il 755 e l'815 si era esteso ed era stato seguito in tutto l'impero carolingio, sviluppandosi, poi in vario modo per tutto il Medioevo. Nelle architetture carolingie il quadrato serve da principale modulo compositivo per gli edifici sacri, con un caratteristico riferimento alle concezioni classiche proporzionali in base al Pitagorismo e al Neoplatonismo, sistemi di pensiero per i quali i numeri avevano una funzione allegorica o di rimando alla perfezione dell'Universo e al Divino. In base a queste teorie il quadrato soprattutto significava il rapporto fra Terra e Cielo, ma anche la precisa percezione, da parte della mente e dello spirito umano, del perfetto rispecchiarsi in questa forma geometrica della perfezione divina, universale, che si riflette nella Creazione. La simbologia della Creazione, secondo le teorie pitagoriche, viene espressa numericamente col raddoppiarsi all'infinito dell'Uno o Unità, nella serie di numeri pari: [1], 2, 4, 8, 16... o nel sommarsi dell'Uno (Dio) con la Natura o Generazione, fatta di numeri pari, nella serie dei numeri dispari: 1, 1+2=3; 3+2=5; 5+2=7; 7+2=9... Il quadrato, forma geometrica perfetta in cui il rapporto fra i lati pari a 1:1,ha rapporto anche con la musica, perché rappresenta l'unisono (un coro a più voci tutte intonanti la medesima nota e, metaforicamente, l'espressione del concetto di totale adeguamento alle leggi universali e perfette dell’Uno). Naturalmente, non mancarono per tutto il Medioevo ed oltre soluzioni architettoniche di chiostri canonicali o monastici dalla forma imperfetta e non rigorosamente quadrata, per cause contingenti: tuttavia non venne mai meno il riferimento dei chiostri medioevali al perfetto modello quadrato, metafora dell'adeguarsi del religioso all'universale ‘disegno' divino espresso mediante l'architettura. I principi architettonici medioevali ispirati alle filosofie pitagorica e neoplatonica trovarono una nuova attualizzazione nel pensiero del Rinascimento fiorentino, soprattutto per quanto riguarda il reticolo proporzionale che legava fra loro le varie parti della chiesa.
Le forme geometriche semplici, simbolo di perfezione, quali il cerchio (metafora dell'Uno e dell'Infinito) e il quadrato (metafora della Terra e della Creazione naturale) e la corrispondente serie dei numeri dispari e pari per le proporzioni delle parti guidano perciò la progettualità dei principali architetti rinascimentali soprattutto fra XV e XVI secolo. Gli studi sulla teoria e la pratica degli architetti rinascimentali in Italia hanno comunque privilegiato architetture religiose come la chiesa oppure architetture profane come quelle dei palazzi ed altri edifici pubblici (e basti fare riferimento al mai invecchiato libro di Rudolf Wittkover, Principi architettonici dell’età dell’Umanesimo, ed. italiana, Torino, Einaudi, 1964), senza estendere l’analisi ad una sufficiente campionatura di complessi monastici o conventuali ristrutturati o modificati fra XV e XVI secolo, dai quali emergesse la configurazione dei chiostri allora realizzati e il loro recupero della pianta quadrata perfetta, come elemento generatore dell'intera sede conventuale o monastica. È evidente che questo recupero di una figura geometrica per lunghissima tradizione culturale dotata di profondi significati allegorici e religiosi non è casuale, e anzi impone che, ove essa sia stata intenzionalmente applicata, ne debba essere individuato il ruolo e il significato, nel preciso contesto storico-culturale e urbanistico in cui si trova.

Per quanto riguarda il complesso conventuale di S. Lorenzo a Pistoia, mancano tuttora studi che consentano di stabilire un rapporto fra i frati Agostiniani ivi residenti e la cultura più avanzata e innovatrice, delle élites rinascimentali del secolo XV. Tuttavia un indizio di questi rapporti è offerto dalle illustri figure di fra Niccolò e fra Antonio Puccini, di cui sono note le relazioni con Firenze e il Papato. In special modo fra Niccolò vissuto entro la prima metà del Quattrocento, dottissimo ed eloquente, confessore del pontefice Eugenio IV (1431-l447) e anch’egli morto nel 1447, di cui si conserva tuttora la lapide sepolcrale scolpita in rilievo in marmo, la cui forza plastica e ritrattistica rimanda ad uno scultore rinascimentale fiorentino degno di essere ulteriormente indagato. La cultura umanistica rinascimentale doveva far parte della vita dei frati Eremitani di S. Lorenzo a Pistoia, e non pare un caso che il rinnovamento del loro chiostro con la planimetria perfetta del quadrato (databile entro la seconda metà del secolo XV) faccia parte di una vasta riconfigurazione urbanistica, iniziata nella zona di nord-est di Pistoia sotto la direzione dell'architetto Michelozzo di Bartolomeo per il complesso ospedaliero del Ceppo e il suo oratorio e per l'attiguo santuario mariano della "Vergine Maria a San Lorenzo", (quest’ultima prospiciente la stessa piazza su cui si affacciava il complesso di S. Lorenzo) e attuata, fin dagli anni Trenta del Quattrocento, sotto l'egida dei Medici e del principale loro rappresentante a Pistoia, il vescovo Donato (1436-1474).
Il chiostro quadrato, dalle perfette proporzioni rinascimentali, del convento di S. Lorenzo, in origine
munito di un pozzo (anch’esso dal valore simbolico: si pensi all'episodio evangelico della Samaritana al pozzo, vera e propria metafora del rapporto tra i frati e Cristo Fonte di Vita eterna) era destinato a riqualificare il significato stesso di quella vita in comune, dedita alla meditazione, alla preghiera, alla predicazione e ai culto divino fin dal tardo Duecento. Ivi il chiostro, destinato principalmente alla meditazione itinerante dei frati, immersi in preghiera, ma anche all’accoglienza e alla festa con i benefattori, era il segno dell’esistenza, ogni giorno rivissuta dai religiosi, della Città di Dio sulla terra, che la stessa perfezione dei rapporti proporzionali rivelava. Secondo quanto, agli inizi del secolo XII, prescriveva per i chiostri san Bernardo di Chiaravalle, che cioè dovessero essere spogli e privi di figure scolpite, per evitare che i religiosi in preghiera si distraessero, anche nel Rinascimento i chiostri dovevano mantenere una purezza di elementi costitutivi tale da consentire una profonda meditazione sulle cose divine. Per questo lo spazio di terreno compreso entro il recinto claustrale era spoglio di vegetazione, e talvolta aveva quattro vialetti lastricati in croce che portavano al pozzo, la cui posizione ottimale era quella centrica (cioè all'incrocio dalle due diagonali del quadrato).
Nel chiostro principale (o chiostro “dei morti", perché nei quattro bracci che lo formavano si seppellivano frati e benefattori) si esplicava il rapporto profondo, individuale, del singolo con Dio  la religione caratterizzante l'Ordine, mentre nel recinto corale all'interno della grande chiesa medioevale era tutta la comunità agostiniana a compiere gli atti di lode e di culto. Il tempo dell'attività manuale e dello svago era compreso entro la vita giornaliera del frate: a questo sopperiva l'ampio orto del convento, generalmente sul retro della residenza dei frati, talvolta anch'essa servito da una o più ali porticate, e spartito da vialetti ortogonali entro le cui aiuole erano piantate piante medicinali, alberi da frutto, ortaggi e pergolati di viti, e circondato da fabbricati di servizio atti a conservare i generi di prima necessità e le derrate alimentari. In queste strutture si verificano in genere grandi varietà di soluzioni progettuali e architettoniche, proprio perché in relazione con la varietas delle necessità quotidiane. Invece, il linguaggio architettonico del chiostro "grande" o "dei morti” coerentemente giocato sull'alta perfezione della pianta quadrata e dei rapporti proporzionali rigorosi per la lunghezza, la larghezza e l'altezza, evidenziava subito il suo altissimo ruolo religioso e spirituale, il suo aristocratico messaggio, che non consentiva la banalizzazione di quell’ambiente, che si presentava volutamente fuori dal tempo, e “astratto" rispetto ad una particolare localizzazione topografica.
PLANIMETRIA DEL COMPLESSO CONVENTUALE DI SAN LORENZO A PISTOIA
(Comune di Pistoia, Tavola del Project Financing del 2006)

II. RELAZIONE DESCRITTIVA DEL PROGETTO
(Miro C. Mati e Arianna Bechini)
Premesso che il vivaista Miro Mati, con la collaborazione di personale di sua fiducia, ha manifestato la volontà di offrire alla sua città a titolo gratuito la fornitura e messa a dimora delle piante sulla base del progetto concordato fra le parti coinvolte, nonché i successivi primi interventi di manutenzione, in considerazione di quanto evidenziato dalla dott.ssa Gai nella sua relazione storica, la soluzione progettuale per lo spazio del chiostro si propone di sottolinearne il rigore e l’eleganza, nel rispetto dello spirito del luogo, attraverso la piantagione di siepi formali di Buxus sempervirens Sel. Appenninica (selezione già utilizzata dalla ditta Mati nel giardino storico del chiostro di San Lorenzo a Firenze). L’immagine del chiostro dovrebbe conservare la memoria del suo ruolo passato e, allo stesso tempo, aprirsi a nuove aspettative legate alle varie funzioni compatibili che avranno luogo negli edifici attigui. La presenza del ‘golgota’ ottocentesco al centro del quadrato induce a creare un disegno dello spazio che ne valorizzi il significato, a testimonianza delle funzioni passate e che crei delle suggestioni visive lungo la passeggiata del loggiato. La proposta definisce quindi un impianto a raggiera che viene dimensionato secondo stretti rapporti proporzionali con il colonnato preesistente e tiene conto delle aperture irregolari di collegamento fra il giardino e il loggiato cercando di stabilire un ordine armonico fra i diversi percorsi.
La proposta progettuale mira ad arricchire lo spazio conventuale con elementi vegetali che ne stimolino percettivamente la fruizione da parte del pubblico. Il senso del ‘tempo sospeso’ delle siepi sempreverdi, mantenute in rigore topiario, viene solo apparentemente ‘disturbato’ da una scansione ritmica regolare di 8 vasi di azalee storiche in vaso (derivate per riproduzione agamica da quelle conservate nel Chiostro di San Lorenzo a Firenze), poste lungo il perimetro del quadrato. Sempre su questa linea, altri 4 vasi di azalee disposte su ‘cesti’ di mirto e bosso, contenuti in forma limitata, per un totale di 12 elementi floreali, sono destinati a sottolineare la presenza del ‘golgota’ quale punto focale del chiostro.
PLANIMETRIA DI PROGETTO

Il suolo viene mantenuto a prato e in speciali occasioni, come quando i monaci aprivano straordinariamente il chiostro alla cittadinanza, i prati interni ai compartimenti di bosso potranno colorarsi di semplici fioriture della tradizione. Queste varie colorazioni potranno così rappresentare una alternativa alla policromia dei dipinti parietali del chiostro che osservavano i monaci durante la meditazione, ma che oggi sono per lo più perduti. Anche tali fioriture cicliche costituirebbero un elemento di attrazione per il nuovo fruitore del chiostro e si pongono come un omaggio non invasivo alla solennità del luogo.
Infine, l’eventuale realizzazione di 4 quadrati di pavimentazione (anch’essi dimensionati secondo precisi rapporti proporzionali) posati a secco alla quota del prato, possono ospitare all’occorrenza vasi con piante di agrumi o altro. Si consiglia di realizzare delle chiusure in corrispondenza dei varchi di collegamento fra loggiato e giardino e di regolare l’accesso a quest’ultimo solo per speciali occasioni.
 SCHIZZO PROSPETTICO DI PROGETTO

III. PROGRAMMAZIONE DEI LAVORI
(Miro C. Mati e Arianna Bechini)
Estate 2011: lavorazione superficiale del terreno per arieggiarlo ed eliminarne le erbe infestanti.
Autunno 2011: piantagione e sistemazione dell’impianto di irrigazione.
Primavera 2012: inaugurazione del chiostro con la prima ripresa vegetativa.
Specifiche sul sistema di irrigazione
Oltre alla messa a dimora delle piante, il personale specializzato di fiducia di Miro Mati si occuperà anche della realizzazione dell’impianto di irrigazione a goccia all’interno del chiostro con relativa centralina automatica. Quest’ultima sarà posizionata in corrispondenza del punto di presa della corrente e dell’acqua predisposto in luogo opportuno -prima dell’inizio dei lavori autunnali- a cura e spesa dalla stessa proprietà.

IV. PROSPETTO DEI COSTI DI MANUTENZIONE E GESTIONE
Lo stesso personale di fiducia di Miro Mati si occuperà a titolo gratuito della manutenzione del giardino del chiostro per i primi SEI mesi dalla messa a dimora delle piante.
In seguito potrà continuare ad effettuarne la manutenzione ordinaria chiedendo alla proprietà un contributo annuo a corpo di Euro 1.500/00 per i successivi DUE anni.
Per quanto riguarda l’apertura al pubblico, secondo un preciso calendario concordato con la Pubblica Amministrazione, potrà essere interpellata l’Associazione proponente “Pistoia città di tutti” per un’eventuale collaborazione di volontariato.
Nella consapevolezza dell’importanza di questo bene culturale, fermo restando l’impegno da parte dei vari enti coinvolti ad agire sempre secondo le regole del ‘buon padre di famiglia’, resta inteso che, sia in fase di cantiere che per le successive occasioni di apertura al pubblico, l’Amministrazione Comunale svolgerà un ruolo attivo fondamentale, tramite la supervisione di propri tecnici, sopralluoghi periodici e quant’altro necessario.

V. ELENCO DEI LAVORI SUPPLEMENTARI
Al fine di svolgere al meglio i suddetti interventi, di garantirne la durata nel tempo e poi di fruire in sicurezza del giardino, si evidenziano di seguito alcuni lavori che dovrebbero essere effettuati e che necessitano di finanziamento:
1. Realizzazione di chiusure (anche con semplici catenelle) degli accessi al giardino in corrispondenza dei muretti del loggiato;
2. Acquisto di n. 12 vasi in cotto dell’Impruneta non gelivo, diam. 60/65 cm per le azalee (o, in alternativa, utilizzo di vasi adeguati già in possesso della proprietà);
3. Eventuale pavimentazione in pietra/cotto, su letto di sabbia, di mq. 20 in totale, ove indicato.
Resterà a discrezione del Comune di Pistoia l’attuazione dei già prospettati presidi per l’accessibilità e la sicurezza del chiostro, nonché dell’adduzione d’acqua al medesimo, d’intesa con la Soprintendenza competente.

giovedì 3 marzo 2011

Visita guidata al complesso monumentale di San Lorenzo

Apertura straordinaria e visita guidata al complesso monumentale di San Lorenzo a cura delle associazioni Pistoia Città di tutti, Storia e Città e Amici dei Musei e dei Monumenti di Pistoia, organizzata grazie alla collaborazione fra il Comune di Pistoia e la Soprintendenza BAPSAE di Firenze, Pistoia e Prato. Guideranno il gruppo i funzionari della Soprintendenza Arch. Valerio Tesi e Dott.ssa Maria Cristina Masdea con l’intervento della Dott.ssa Elena Testaferrata, responsabile del Museo Civico di Pistoia. Un’occasione straordinaria per la visita di un monumento dalla storia plurisecolare (secc. XIII-XIX), ricco di opere d’arte, tuttora in restauro e chiuso al pubblico.

mercoledì 2 febbraio 2011

La chiesa e il convento della SS. Annunziata dei Servi di Pistoia


La chiesa della Santissima Annunziata dei Servi, attualmente parrocchiale, ha la sua prima origine in un più antico edificio fondato nel 1271, nel momento di iniziale fioritura dell’Ordine fiorentino dei Servi di Santa Maria.
Secondo la tradizione, anche questo primo edificio di culto servitano a Pistoia sarebbe stato costruito sopra un oratorio dedicato alla Madonna, di patronato Cancellieri, che in parte avrebbe condizionato la struttura della prima chiesa dei Servi.
La planimetria segue nel modo più semplice la struttura delle chiese mendicanti: un’ampia aula unica si connette ad un presbiterio con una cappella centrale quadrangolare, che ospita l’altare maggiore, e due cappelle laterali anch’esse a pianta quadrata.
Questo schema costruttivo nella chiesa della SS. Annunziata di Pistoia si caratterizza per la presenza, sul lato sinistro della cappella maggiore, di un campanile, alla cui base probabilmente si trovava una cappella, cui si accedeva con un arcone dalla chiesa.
Nel 1356 fu rinnovata la cappella maggiore, assegnata dai Servi alla famiglia Mercioli, che sostenne le spese della trasformazione.
Nel 1380 fu attuato un prolungamento della chiesa verso ovest, occupando parte dell’antico sagrato. Fu necessario pertanto adeguare la copertura del tetto a questo nuovo volume. In controfacciata fu realizzata nel tardo Trecento una cappella intitolata a San Benedetto, che si trovava a sinistra rispetto all’ingresso, affrescata nel 1383 da Lippo di Dalmasio.
In questo periodo fu adeguata probabilmente la più antica sede conventuale, attigua alla chiesa verso nord, il cui fulcro era un chiostro quadrangolare dotato di pozzo, tuttora conservato. Nel Medioevo tuttavia esisteva soltanto un portico, probabilmente con copertura lignea a spiovente semplice, impostata su pilastri, che collegava l’ingresso del convento alla sede dei frati, correndo lungo il fianco nord della chiesa.
Il convento inizialmente era costituito da un’ala, che occupava il lato est della costruzione, disposta perpendicolarmente rispetto alla chiesa, dove si trovavano la sagrestia, attigua alla chiesa, la sala capitolare ed altri locali di servizio, mentre al primo piano erano le celle. Sul braccio nord, attiguo al precedente, era il refettorio.
Agli inizi del Trecento (1307) il lato del chiostro che si affacciava sulla via, verso ovest, era occupato dalla sede della confraternita dei Disciplinati, e ad essa si aggregarono più tardi altre compagnie laicali, come quella di San Martino nel 1454 e quella della Carità nel 1538.
Durante il Trecento nel braccio nord del chiostro furono effettuati ampliamenti e fu rifatto l’ampio refettorio.
Nel tardo Quattrocento nella chiesa risulta la presenza di diversi altari di famiglie pistoiesi e all’interno dell’aula era disposto un ampio coro. Fra il 1471 e il 1480 venne trasportata in una cappella analoga a quella di San Benedetto in controfacciata, ma a destra dell’ingresso, un’immagine affrescata dell’Annunciata, dipinta su una parete del coro, ritenuta miracolosa.
Consistenti trasformazioni avvennero durante il Cinquecento sia nella chiesa che nel convento, con la ristrutturazione degli altari e la pittura delle relative tavole. A questa opera collaborarono artisti pistoiesi e fiorentini, come Gerino Gerini (1480-1531), Fra Paolino (1488-1547), Domenico di Marco Rossermini (documentato dal 1497 al 1530), Bernardino di Antonio del Signoraccio (1460-1540), Giuliano di Iacopo di Bandino Panciatichi (1487-1551), Iacopo Centi (notizie fra il 1538 e il 1572), Bernardino di Antonio Detti (1498-1566), Leonardo Malatesta (1483-1524), Piero Scalabrino (1541-1615), Sebastiano Vini (1528-1602), Santi di Tito (1536-1603).
L’altare maggiore fu dotato, a spese dei nuovi patroni Baldinotti, della tavola dipinta dal pistoiese Domenico di Marco Rossermini, databile fra il 1525 e il 1526 e raffigurante la Madonna col Bambino in trono e i santi Bartolomeo, Giovanni Evangelista, Iacopo e Tommaso.
Fra il 1528 e il 1529 vennero demolite preesistenti cappelle esterne sul lato sud, erette nella stretta parte di terreno adiacente al vicolo dell’Arcadia.
I due altari delle cappelle laterali a quella maggiore, nel presbiterio, furono decorati rispettivamente a sinistra da un quadro dipinto da Iacopo Centi nel 1568 (poi sostituito dalla tavola con la Nascita della Vergine, eseguita nel 1608 dal fiorentino Lodovico Cardi, detto il Cigoli), mentre l’analogo altare a destra fu ornato dalla tela con la Presentazione al tempio dipinta nel 1577 da Sebastiano Vini.
Fra il 1579 e il 1580, al lato della cappella dell’Annunziata, fu praticata un’apertura sulla parete sud della chiesa e realizzato nell’area esterna un vano quadrangolare adibito a coretto di questa cappella, terminato nel 1588 con la pittura della volta a crociera, con grottesche e quattro storiette di Maria, ad opera di Piero Scalabrino.
Nel XVI secolo anche il convento subì profonde trasformazioni, specialmente con la ristrutturazione, fra il 1517 e il 1545, del chiostro grande, con la sostituzione dei precedenti porticati con loggiati in stile rinascimentale, dotati sui lati di nord-est di veroni, che furono costruiti anche sopra l’ala porticata del secondo chiostro, detto “del pozzo”, prospiciente a nord sull’ampia area dell’orto conventuale.
Sopra il braccio nord del convento vennero costruite camere, anche per i novizi, e sistemato l’appartamento del priore e la libreria.
Durante il Seicento il chiostro grande, detto anche “chiostro dei morti”, accolse in varie occasioni festive anche la società dei laici e membri delle famiglie committenti degli altari e altri arredi liturgici nella chiesa.
Nel secolo XVII furono eseguite anche le pitture nelle lunette del chiostro grande, partendo da quella sopra la porta della sagrestia, in angolo con la chiesa, e proseguendo in senso antiorario.
Le prime sei lunette dell’ala est furono affrescate tra il 1601 e il 1602 dal pittore fiorentino Bernardino Poccetti, iniziando con l’Incoronazione della Vergine e proseguendo con cinque temi della prima storia servitana fiorentina: La Vergine appare ai sette santi fondatori; Il ritiro dei sette fondatori a Villa Camarzia; I sette fondatori ricevono la regola di Sant’Agostino; I medesimi ricevono l’abito dalla Vergine; Prodigio della SS. Annunziata dipinta da mano angelica.
Le altre venti lunette sono dedicate al Beato Bonaventura Bonaccorsi, membro di un’importante famiglia ghibellina pistoiese, convertitosi grazie all’esempio di San Filippo Benizi, primo priore dei Servi, nel 1276: i soggetti furono stabiliti dal dotto padre dei Servi Arcangelo Giani (1552-1623).
I temi illustrati sono i seguenti: Il beato Bonaventura è coinvolto nelle fazioni civili pistoiesi; Lo stesso assiste a una predica tenuta a Pistoia da San Filippo Benizi; Il beato Bonaventura distribuisce ai poveri le proprie ricchezze; Lo stesso si converte davanti a San Filippo Benizi; Il beato ripara i torti commessi e si riconcilia con i nemici; Il beato abbandona il mondo per farsi servo di Maria; San Filippo Benizi lo veste dell’abito dei Servi; Il beato Bonaventura si flagella dinanzi al Crocifisso; Ildebrando vescovo di Arezzo accoglie il beato Bonaventura; Il beato libera un’ossessa dai demoni; Il beato su incarico del vescovo di Arezzo fonda la chiesa di S. Maria Novella a Montepulciano; Il beato per ordine del vescovo di Arezzo veste la beata Agnese da Montepulciano; Il beato assume la direzione del convento di Pistoia; Lo stesso istituisce la compagnia femminile delle Sorelle dell’Addolorata; Lo stesso fa la questua in Pistoia; Il beato accompagna San Filippo Benizi a Todi; La beata Margherita da Montepulciano riceve l’abito servitano dal beato Bonaventura, mentre appare un’icona della Vergine; Santa vita del beato come priore del convento; Morte del beato Bonaventura; Venerazione del suo corpo nella chiesa dei Servi di Orvieto.
Il programma iconografico comprendeva una scritta esplicativa sotto ogni lunetta, con sotto lo stemma della famiglia pistoiese che ne aveva finanziato la pittura, e busti dei cardinali e dei vescovi appartenuti ai Servi, entro cornice, sui peducci delle volte.
Le famiglie i cui stemmi compaiono al di sotto delle lunette sono quelle dei Bracciolini, Peraccini, Baldinotti, Bonaccorsi, Gatteschi, Panciatichi, Rossi, Cancellieri, Bracali, Sozzifanti, Rospigliosi, Moretti, Paribeni.
Il ciclo pittorico, dopo le pitture di Bernardino Poccetti, riprese il 29 settembre 1633, quando il fiorentino Francesco Montelatici, detto Cecco Bravo (1601-1661), dipinse cinque lunette nella parete nord (le lunette 7, 8, 10, 11, 13) e una sulla parete ovest (lunetta 14), iniziando le storie del beato Bonaventura.
Le lunette seguenti sul lato ovest non sono documentate ma sono attribuibili ai pistoiesi Alessio Gimignani (1567?-1651) e Francesco Leoncini (1601-1647): furono eseguite probabilmente dopo le pitture di Cecco Bravo del 1633 e prima di quelle dipinte da Giovanni Martinelli nel 1654.
A Giovanni Martinelli (1600 o 1604-1659) furono assegnate le ultime cinque lunette (le 22, 23, 24, 25, 26), raffiguranti sul lato meridionale del chiostro gli ultimi anni di vita del beato Bonaventura. Queste furono dipinte a partire dal 27 aprile 1654.
Per completare il ciclo pittorico, mancavano ancora due lunette sul lato settentrionale (la 9 e la 11), perché ne impedivano l’esecuzione due finestre del refettorio, che dovettero essere spostate, e soltanto nel 1696 Filippo Cremoncini affrescò queste due lunette per volontà di Benedetto Baldinotti.
Sul finire del Seicento l’aggiornamento del chiostro si completò con grandi figure di telamoni, raffigurati a intervalli regolari nella fascia basamentale, dipinti insieme con prospettive scenografiche da Francesco Maria Piastrini insieme col figlio Giovanni Domenico (1698).
Sempre nel Seicento, e precisamente fra il 1619 e il 1620, furono attuate trasformazioni anche nella chiesa con la costruzione di una seconda sagrestia, attigua alla cappella maggiore. Nel 1692 fu unificato il piano di copertura del tetto, eliminando una più bassa soffittatura della parte presbiteriale, dove furono recuperate sette antiche tavole trecentesche raffiguranti I sette beati fondatori. Queste tavolette vennero inviate alla casa madre a Firenze come testimonianza dell’antico culto per i sette fondatori.
Un grandioso ridisegno della chiesa fu progettato agli inizi del Settecento dall’abate, poi canonico del Duomo, architetto Francesco Maria Gatteschi (1656-1722). L’intervento si iniziò con il rifacimento della facciata, già in corso nel 1703. Subentrò comunque al Gatteschi l’architetto Giovacchino Fortini (1671-1736), che rinnovò la cappella maggiore e il relativo coro e le pareti dell’aula.
La cappella maggiore nel 1703 venne ridisegnata con decorazioni in stucco; l’ornamento dell’arcone di accesso si deve allo stuccatore Francesco Covini da Marsiglia. La tavola cinquecentesca di Domenico di Marco Rossermini fu trasportata sulla parete di fondo della stessa cappella; nel 1704 fu realizzato in muratura  l’altare maggiore barocco staccato dalla parete, mentre il precedente fu venduto. Fra il 1754 e il 1756 questo altare in muratura fu sostituito da un altare marmoreo su disegno di Angelo Fortini (1682-1755).
Le pareti della cappella maggiore accolsero entro nicchie le due statue realizzate nel 1590 dal frate servita Giovannangelo Lottini e raffiguranti San Filippo Benizi e Il beato Bonaventura. La finestra della cappella assunse una forma “a campana”, e alle pareti laterali vennero sistemati i due quadri d’altare rispettivamente a sinistra di Santi di Tito (L’Assunta con i santi Francesco, Iacopo e Filippo Benizi, resasi disponibile dal 1691 per la trasformazione dell’altare laterale dedicato a san Filippo Benizi), e a destra di Alessio Gimignani con San Carlo Borromeo (commissionata nel 1614).
Le trasformazioni proseguirono con gli altari dell’aula, il primo dei quali nel 1704 fu l’altare dell’Addolorata di patronato Puccini, costruito in legno, in parte dorato, alla romana e dotato di una nuova tavola dipinta dal fiorentino Pietro Dandini (1646-1712). Questo altare fu modificato ai primi del Novecento dall’architetto-decoratore Luigi Zumkeller, che realizzò al centro una nicchia per una statua della Madonna dei Dolori al posto della precedente tavola, aggiungendo degli angeli in stucco ai lati.
Fra il 1716 e il 1726 tutti gli altari dell’aula vennero uniformati e furono demolite le due cappelle in controfacciata. Nel 1717 fu eliminato anche l’altare di S. Caterina della famiglia Cheli, sulla parete sud, che non era simmetrico rispetto agli altri. Nel 1720 l’altare della Concezione di patronato Tolomei, che aveva preso il posto in controfacciata dell’antica cappella di S. Benedetto, venne decorato con stucchi e dorature e dotato di un quadro fatto eseguire a Roma con l’Immacolata Concezione, attribuito a Tommaso Redi (1665-1726).
Nel 1726 fu trasformato l’antico altare dell’Annunziata, di patronato Peraccini, con un disegno analogo a quello della Concezione.
I due altari in controfacciata furono ornati con un ricco fastigio in stucco ad opera dello stuccatore Bernardino Cremona (documentato dal 1680 al 1728). Allo stesso Cremona si devono gli ornamenti in stucco delle cantorie (1721-1726) e le cornici nella parte inferiore delle pareti perimetrali dell’aula, affrescate all’interno da Giovan Domenico Ferretti (1692-1768) e collaboratori (nella zona presbiterale: Cristo in pietà, Addolorata; nelle pareti dell’aula: Angioletti con versetti biblici entro cartigli).
Nel 1720 venne eseguita la pittura della volta della cappella maggiore, con l’Annunciazione, in stile tardo barocco, attribuita a Giovan Domenico Ferretti, mentre le “quadrature” (vedute in prospettiva) sono ritenute di Lorenzo del Moro (1677-1735). La parte superiore dell’aula, dove compaiono entro cornici i ritratti dei santi dei Servi, fu ristrutturata su disegno di Giovacchino Fortini in quello stesso anno e affidata poi a Niccolò Nannetti (1665-1749) per le pitture.
Fra il 1754 e il 1756 fu rielaborato il presbiterio, con una balaustrata e un pavimento marmoreo che andavano a completare il nuovo altare in marmo. L’esecuzione dell’altare fu affidata ad Angelo Fortini mentre l’incorniciatura in stucco dei due altari laterali del presbiterio fu commissionata nel 1757 allo stuccatore e architetto Tommaso Cremona, che avrebbe poi assunto la direzione dei lavori nella chiesa.
Si progettò il 16 maggio 1755 anche una nuova copertura a volta dell’aula, per cui si rialzò l’intera orditura del tetto. La sopraelevazione rese necessaria anche una ristrutturazione della facciata affidata allo stesso Tommaso Cremona. Tuttavia la volta non poté mai essere eseguita, dato che il convento servitano fu soppresso dal vescovo Scipione de’ Ricci il 14 novembre 1786.
Tuttavia prima di questa data i frati dei Servi fecero in tempo a realizzare l’ampliamento del convento, con una nuova foresteria ornata in stile barocchetto nell’angolo di nord-est del convento, e con la sede destinata a scuola di teologia, corpo di fabbrica che si affaccia ancor oggi su via dei Baroni, eretto fra il 1772 e il 1773.
Lo progettò il fiorentino Zanobi del Rosso (1724-1798), ingegnere di Pietro Leopoldo di Lorena, granduca di Toscana.
Per un parere circa la costruzione venne interpellato anche il famoso ingegnere granducale Niccolò Gasparo Maria Paoletti (1727-1813). Il nuovo volume edilizio si sovrapponeva a tutta una serie di vecchie costruzioni adibite a vari usi, che completavano verso ovest il convento: di fatto inglobate nella nuova fabbrica, in cui il collegamento di tutti gli ambienti al primo, secondo e terzo piano era attuato con corridoi centrali rispetto ad ambienti che si affacciavano rispettivamente sulla strada e sul chiostro grande.
Il pittore fiorentino Michele Loi ebbe l’incarico nel 1775 di decorare con una finta prospettiva aerea la volta dello scalone monumentale a doppio volume, che metteva in comunicazione il chiostro grande con il primo piano della scuola di teologia.
Il complesso, dopo la prima soppressione, fu in parte restituito ai Servi nel 1794, e la chiesa divenne parrocchia, ma tutto il complesso fu di nuovo soppresso durante il regime napoleonico nel 1810; ritornò ai frati solo nel 1856, ma decurtato dal 1859 di una grossa parte del convento, destinato ad usi militari.
Fra il 1897 e il 1899 l’unica costruzione nuova nella chiesa fu la cappella di S. Giuseppe in stile neogotico, aperta sul lato destro (meridionale) della chiesa.
Attualmente (luglio 2011) il tetto della chiesa è interessato da pericolosi dissesti statici, mentre la parte demaniale del convento, dove si è già verificato di recente il crollo di una porzione del tetto dell’ala nord, si trova in stato di abbandono. Assegnata dallo Stato come nuova sede dell’Archivio di Stato di Pistoia, non è stato possibile iniziare i lavori di ristrutturazione nel fabbricato demaniale per mancanza di finanziamenti.

(da Cristina Bruni, Una scheda per la SS. Annunziata, “storialocale” 15, 2010, pagg. 58-87)