La chiesa della Santissima
Annunziata dei Servi, attualmente parrocchiale, ha la sua prima origine in un
più antico edificio fondato nel 1271, nel momento di iniziale fioritura
dell’Ordine fiorentino dei Servi di Santa Maria.
Secondo la tradizione, anche
questo primo edificio di culto servitano a Pistoia sarebbe stato costruito
sopra un oratorio dedicato alla Madonna, di patronato Cancellieri, che in parte
avrebbe condizionato la struttura della prima chiesa dei Servi.
La planimetria segue nel modo più
semplice la struttura delle chiese mendicanti: un’ampia aula unica si connette
ad un presbiterio con una cappella centrale quadrangolare, che ospita l’altare
maggiore, e due cappelle laterali anch’esse a pianta quadrata.
Questo schema costruttivo nella
chiesa della SS. Annunziata di Pistoia si caratterizza per la presenza, sul
lato sinistro della cappella maggiore, di un campanile, alla cui base
probabilmente si trovava una cappella, cui si accedeva con un arcone dalla
chiesa.
Nel 1356 fu rinnovata la cappella
maggiore, assegnata dai Servi alla famiglia Mercioli, che sostenne le spese
della trasformazione.
Nel 1380 fu attuato un
prolungamento della chiesa verso ovest, occupando parte dell’antico sagrato. Fu
necessario pertanto adeguare la copertura del tetto a questo nuovo volume. In
controfacciata fu realizzata nel tardo Trecento una cappella intitolata a San
Benedetto, che si trovava a sinistra rispetto all’ingresso, affrescata nel 1383
da Lippo di Dalmasio.
In questo periodo fu adeguata
probabilmente la più antica sede conventuale, attigua alla chiesa verso nord,
il cui fulcro era un chiostro quadrangolare dotato di pozzo, tuttora
conservato. Nel Medioevo tuttavia esisteva soltanto un portico, probabilmente
con copertura lignea a spiovente semplice, impostata su pilastri, che collegava
l’ingresso del convento alla sede dei frati, correndo lungo il fianco nord
della chiesa.
Il convento inizialmente era
costituito da un’ala, che occupava il lato est della costruzione, disposta
perpendicolarmente rispetto alla chiesa, dove si trovavano la sagrestia,
attigua alla chiesa, la sala capitolare ed altri locali di servizio, mentre al
primo piano erano le celle. Sul braccio nord, attiguo al precedente, era il
refettorio.
Agli inizi del Trecento (1307) il
lato del chiostro che si affacciava sulla via, verso ovest, era occupato dalla
sede della confraternita dei Disciplinati, e ad essa si aggregarono più tardi
altre compagnie laicali, come quella di San Martino nel 1454 e quella della
Carità nel 1538.
Durante il Trecento nel braccio
nord del chiostro furono effettuati ampliamenti e fu rifatto l’ampio
refettorio.
Nel tardo Quattrocento nella
chiesa risulta la presenza di diversi altari di famiglie pistoiesi e all’interno
dell’aula era disposto un ampio coro. Fra il 1471 e il 1480 venne trasportata
in una cappella analoga a quella di San Benedetto in controfacciata, ma a
destra dell’ingresso, un’immagine affrescata dell’Annunciata, dipinta su una
parete del coro, ritenuta miracolosa.
Consistenti trasformazioni
avvennero durante il Cinquecento sia nella chiesa che nel convento, con la
ristrutturazione degli altari e la pittura delle relative tavole. A questa
opera collaborarono artisti pistoiesi e fiorentini, come Gerino Gerini
(1480-1531), Fra Paolino (1488-1547), Domenico di Marco Rossermini (documentato
dal 1497 al 1530), Bernardino di Antonio del Signoraccio (1460-1540), Giuliano
di Iacopo di Bandino Panciatichi (1487-1551), Iacopo Centi (notizie fra il 1538
e il 1572), Bernardino di Antonio Detti (1498-1566), Leonardo Malatesta
(1483-1524), Piero Scalabrino (1541-1615), Sebastiano Vini (1528-1602), Santi
di Tito (1536-1603).
L’altare maggiore fu dotato, a
spese dei nuovi patroni Baldinotti, della tavola dipinta dal pistoiese Domenico
di Marco Rossermini, databile fra il 1525 e il 1526 e raffigurante la Madonna col Bambino in trono e i santi
Bartolomeo, Giovanni Evangelista, Iacopo e Tommaso.
Fra il 1528 e il 1529 vennero
demolite preesistenti cappelle esterne sul lato sud, erette nella stretta parte
di terreno adiacente al vicolo dell’Arcadia.
I due altari delle cappelle
laterali a quella maggiore, nel presbiterio, furono decorati rispettivamente a
sinistra da un quadro dipinto da Iacopo Centi nel 1568 (poi sostituito dalla
tavola con la Nascita della Vergine,
eseguita nel 1608 dal fiorentino Lodovico Cardi, detto il Cigoli), mentre
l’analogo altare a destra fu ornato dalla tela con la Presentazione al tempio dipinta nel 1577 da Sebastiano Vini.
Fra il 1579 e il 1580, al lato
della cappella dell’Annunziata, fu praticata un’apertura sulla parete sud della
chiesa e realizzato nell’area esterna un vano quadrangolare adibito a coretto
di questa cappella, terminato nel 1588 con la pittura della volta a crociera,
con grottesche e quattro storiette di Maria, ad opera di Piero Scalabrino.
Nel XVI secolo anche il convento
subì profonde trasformazioni, specialmente con la ristrutturazione, fra il 1517
e il 1545, del chiostro grande, con la sostituzione dei precedenti porticati
con loggiati in stile rinascimentale, dotati sui lati di nord-est di veroni,
che furono costruiti anche sopra l’ala porticata del secondo chiostro, detto
“del pozzo”, prospiciente a nord sull’ampia area dell’orto conventuale.
Sopra il braccio nord del convento
vennero costruite camere, anche per i novizi, e sistemato l’appartamento del
priore e la libreria.
Durante il Seicento il chiostro
grande, detto anche “chiostro dei morti”, accolse in varie occasioni festive
anche la società dei laici e membri delle famiglie committenti degli altari e
altri arredi liturgici nella chiesa.
Nel secolo XVII furono eseguite
anche le pitture nelle lunette del chiostro grande, partendo da quella sopra la
porta della sagrestia, in angolo con la chiesa, e proseguendo in senso
antiorario.
Le prime sei lunette dell’ala est
furono affrescate tra il 1601 e il 1602 dal pittore fiorentino Bernardino
Poccetti, iniziando con l’Incoronazione
della Vergine e proseguendo con cinque temi della prima storia servitana
fiorentina: La Vergine appare ai sette
santi fondatori; Il ritiro dei sette
fondatori a Villa Camarzia; I sette
fondatori ricevono la regola di Sant’Agostino; I medesimi ricevono l’abito dalla Vergine; Prodigio della SS. Annunziata dipinta da mano angelica.
Le altre venti lunette sono
dedicate al Beato Bonaventura Bonaccorsi, membro di un’importante famiglia
ghibellina pistoiese, convertitosi grazie all’esempio di San Filippo Benizi,
primo priore dei Servi, nel 1276: i soggetti furono stabiliti dal dotto padre
dei Servi Arcangelo Giani (1552-1623).
I temi illustrati sono i
seguenti: Il beato Bonaventura è
coinvolto nelle fazioni civili pistoiesi; Lo stesso assiste a una predica tenuta a Pistoia da San Filippo Benizi;
Il beato Bonaventura distribuisce ai
poveri le proprie ricchezze; Lo
stesso si converte davanti a San Filippo Benizi; Il beato ripara i torti commessi e si riconcilia con i nemici; Il beato abbandona il mondo per farsi servo
di Maria; San Filippo Benizi lo veste
dell’abito dei Servi; Il beato
Bonaventura si flagella dinanzi al Crocifisso; Ildebrando vescovo di Arezzo accoglie il beato Bonaventura; Il beato libera un’ossessa dai demoni; Il beato su incarico del vescovo di Arezzo
fonda la chiesa di S. Maria Novella a Montepulciano; Il beato per ordine del vescovo di Arezzo veste la beata Agnese da
Montepulciano; Il beato assume la
direzione del convento di Pistoia; Lo
stesso istituisce la compagnia femminile delle Sorelle dell’Addolorata; Lo stesso fa la questua in Pistoia; Il beato accompagna San Filippo Benizi a Todi;
La beata Margherita da Montepulciano
riceve l’abito servitano dal beato Bonaventura, mentre appare un’icona della
Vergine; Santa vita del beato come
priore del convento; Morte del beato
Bonaventura; Venerazione del suo
corpo nella chiesa dei Servi di Orvieto.
Il programma iconografico
comprendeva una scritta esplicativa sotto ogni lunetta, con sotto lo stemma
della famiglia pistoiese che ne aveva finanziato la pittura, e busti dei
cardinali e dei vescovi appartenuti ai Servi, entro cornice, sui peducci delle
volte.
Le famiglie i cui stemmi
compaiono al di sotto delle lunette sono quelle dei Bracciolini, Peraccini,
Baldinotti, Bonaccorsi, Gatteschi, Panciatichi, Rossi, Cancellieri, Bracali,
Sozzifanti, Rospigliosi, Moretti, Paribeni.
Il ciclo pittorico, dopo le
pitture di Bernardino Poccetti, riprese il 29 settembre 1633, quando il
fiorentino Francesco Montelatici, detto Cecco Bravo (1601-1661), dipinse cinque
lunette nella parete nord (le lunette 7, 8, 10, 11, 13) e una sulla parete
ovest (lunetta 14), iniziando le storie del beato Bonaventura.
Le lunette seguenti sul lato
ovest non sono documentate ma sono attribuibili ai pistoiesi Alessio Gimignani
(1567?-1651) e Francesco Leoncini (1601-1647): furono eseguite probabilmente
dopo le pitture di Cecco Bravo del 1633 e prima di quelle dipinte da Giovanni
Martinelli nel 1654.
A Giovanni Martinelli (1600 o
1604-1659) furono assegnate le ultime cinque lunette (le 22, 23, 24, 25, 26),
raffiguranti sul lato meridionale del chiostro gli ultimi anni di vita del beato
Bonaventura. Queste furono dipinte a partire dal 27 aprile 1654.
Per completare il ciclo
pittorico, mancavano ancora due lunette sul lato settentrionale (la 9 e la 11),
perché ne impedivano l’esecuzione due finestre del refettorio, che dovettero
essere spostate, e soltanto nel 1696 Filippo Cremoncini affrescò queste due
lunette per volontà di Benedetto Baldinotti.
Sul finire del Seicento
l’aggiornamento del chiostro si completò con grandi figure di telamoni,
raffigurati a intervalli regolari nella fascia basamentale, dipinti insieme con
prospettive scenografiche da Francesco Maria Piastrini insieme col figlio
Giovanni Domenico (1698).
Sempre nel Seicento, e
precisamente fra il 1619 e il 1620, furono attuate trasformazioni anche nella
chiesa con la costruzione di una seconda sagrestia, attigua alla cappella
maggiore. Nel 1692 fu unificato il piano di copertura del tetto, eliminando una
più bassa soffittatura della parte presbiteriale, dove furono recuperate sette
antiche tavole trecentesche raffiguranti I
sette beati fondatori. Queste tavolette vennero inviate alla casa madre a
Firenze come testimonianza dell’antico culto per i sette fondatori.
Un grandioso ridisegno della
chiesa fu progettato agli inizi del Settecento dall’abate, poi canonico del
Duomo, architetto Francesco Maria Gatteschi (1656-1722). L’intervento si iniziò
con il rifacimento della facciata, già in corso nel 1703. Subentrò comunque al
Gatteschi l’architetto Giovacchino Fortini (1671-1736), che rinnovò la cappella
maggiore e il relativo coro e le pareti dell’aula.
La cappella maggiore nel 1703
venne ridisegnata con decorazioni in stucco; l’ornamento dell’arcone di accesso
si deve allo stuccatore Francesco Covini da Marsiglia. La tavola cinquecentesca
di Domenico di Marco Rossermini fu trasportata sulla parete di fondo della
stessa cappella; nel 1704 fu realizzato in muratura l’altare maggiore barocco staccato dalla parete, mentre il
precedente fu venduto. Fra il 1754 e il 1756 questo altare in muratura fu
sostituito da un altare marmoreo su disegno di Angelo Fortini (1682-1755).
Le pareti della cappella maggiore
accolsero entro nicchie le due statue realizzate nel 1590 dal frate servita
Giovannangelo Lottini e raffiguranti San
Filippo Benizi e Il beato Bonaventura.
La finestra della cappella assunse una forma “a campana”, e alle pareti
laterali vennero sistemati i due quadri d’altare rispettivamente a sinistra di
Santi di Tito (L’Assunta con i santi
Francesco, Iacopo e Filippo Benizi, resasi disponibile dal 1691 per la
trasformazione dell’altare laterale dedicato a san Filippo Benizi), e a destra
di Alessio Gimignani con San Carlo
Borromeo (commissionata nel 1614).
Le trasformazioni proseguirono
con gli altari dell’aula, il primo dei quali nel 1704 fu l’altare
dell’Addolorata di patronato Puccini, costruito in legno, in parte dorato, alla
romana e dotato di una nuova tavola dipinta dal fiorentino Pietro Dandini
(1646-1712). Questo altare fu modificato ai primi del Novecento
dall’architetto-decoratore Luigi Zumkeller, che realizzò al centro una nicchia
per una statua della Madonna dei Dolori al posto della precedente tavola,
aggiungendo degli angeli in stucco ai lati.
Fra il 1716 e il 1726 tutti gli
altari dell’aula vennero uniformati e furono demolite le due cappelle in
controfacciata. Nel 1717 fu eliminato anche l’altare di S. Caterina della
famiglia Cheli, sulla parete sud, che non era simmetrico rispetto agli altri.
Nel 1720 l’altare della Concezione di patronato Tolomei, che aveva preso il
posto in controfacciata dell’antica cappella di S. Benedetto, venne decorato
con stucchi e dorature e dotato di un quadro fatto eseguire a Roma con l’Immacolata Concezione, attribuito a
Tommaso Redi (1665-1726).
Nel 1726 fu trasformato l’antico
altare dell’Annunziata, di patronato Peraccini, con un disegno analogo a quello
della Concezione.
I due altari in controfacciata
furono ornati con un ricco fastigio in stucco ad opera dello stuccatore
Bernardino Cremona (documentato dal 1680 al 1728). Allo stesso Cremona si
devono gli ornamenti in stucco delle cantorie (1721-1726) e le cornici nella
parte inferiore delle pareti perimetrali dell’aula, affrescate all’interno da
Giovan Domenico Ferretti (1692-1768) e collaboratori (nella zona presbiterale: Cristo in pietà, Addolorata; nelle
pareti dell’aula: Angioletti con versetti
biblici entro cartigli).
Nel 1720 venne eseguita la
pittura della volta della cappella maggiore, con l’Annunciazione, in stile tardo barocco, attribuita a Giovan Domenico
Ferretti, mentre le “quadrature” (vedute in prospettiva) sono ritenute di Lorenzo
del Moro (1677-1735). La parte superiore dell’aula, dove compaiono entro
cornici i ritratti dei santi dei Servi, fu ristrutturata su disegno di
Giovacchino Fortini in quello stesso anno e affidata poi a Niccolò Nannetti
(1665-1749) per le pitture.
Fra il 1754 e il 1756 fu
rielaborato il presbiterio, con una balaustrata e un pavimento marmoreo che
andavano a completare il nuovo altare in marmo. L’esecuzione dell’altare fu
affidata ad Angelo Fortini mentre l’incorniciatura in stucco dei due altari laterali
del presbiterio fu commissionata nel 1757 allo stuccatore e architetto Tommaso
Cremona, che avrebbe poi assunto la direzione dei lavori nella chiesa.
Si progettò il 16 maggio 1755
anche una nuova copertura a volta dell’aula, per cui si rialzò l’intera orditura
del tetto. La sopraelevazione rese necessaria anche una ristrutturazione della
facciata affidata allo stesso Tommaso Cremona. Tuttavia la volta non poté mai
essere eseguita, dato che il convento servitano fu soppresso dal vescovo
Scipione de’ Ricci il 14 novembre 1786.
Tuttavia prima di questa data i
frati dei Servi fecero in tempo a realizzare l’ampliamento del convento, con
una nuova foresteria ornata in stile barocchetto nell’angolo di nord-est del
convento, e con la sede destinata a scuola di teologia, corpo di fabbrica che
si affaccia ancor oggi su via dei Baroni, eretto fra il 1772 e il 1773.
Lo progettò il fiorentino Zanobi
del Rosso (1724-1798), ingegnere di Pietro Leopoldo di Lorena, granduca di
Toscana.
Per un parere circa la
costruzione venne interpellato anche il famoso ingegnere granducale Niccolò
Gasparo Maria Paoletti (1727-1813). Il nuovo volume edilizio si sovrapponeva a
tutta una serie di vecchie costruzioni adibite a vari usi, che completavano
verso ovest il convento: di fatto inglobate nella nuova fabbrica, in cui il
collegamento di tutti gli ambienti al primo, secondo e terzo piano era attuato
con corridoi centrali rispetto ad ambienti che si affacciavano rispettivamente
sulla strada e sul chiostro grande.
Il pittore fiorentino Michele Loi
ebbe l’incarico nel 1775 di decorare con una finta prospettiva aerea la volta
dello scalone monumentale a doppio volume, che metteva in comunicazione il
chiostro grande con il primo piano della scuola di teologia.
Il complesso, dopo la prima soppressione,
fu in parte restituito ai Servi nel 1794, e la chiesa divenne parrocchia, ma
tutto il complesso fu di nuovo soppresso durante il regime napoleonico nel
1810; ritornò ai frati solo nel 1856, ma decurtato dal 1859 di una grossa parte
del convento, destinato ad usi militari.
Fra il 1897 e il 1899 l’unica
costruzione nuova nella chiesa fu la cappella di S. Giuseppe in stile
neogotico, aperta sul lato destro (meridionale) della chiesa.
Attualmente (luglio 2011) il
tetto della chiesa è interessato da pericolosi dissesti statici, mentre la
parte demaniale del convento, dove si è già verificato di recente il crollo di
una porzione del tetto dell’ala nord, si trova in stato di abbandono. Assegnata
dallo Stato come nuova sede dell’Archivio di Stato di Pistoia, non è stato
possibile iniziare i lavori di ristrutturazione nel fabbricato demaniale per
mancanza di finanziamenti.
(da Cristina Bruni, Una scheda per la SS. Annunziata,
“storialocale” 15, 2010, pagg. 58-87)